Eccidio, la riconciliazione passa per un abbraccio e una lettera firmata da Teppa e Anna Vescovi

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E’ una lettera coraggiosa e illuminata, firmata insieme dall’assassino e dalla figlia della vittima, a sancire per Schio, 71 anni dopo, il definitivo superamento della divisione fra vittime e colpevoli per la vicenda conosciuta da tutti come “l’Eccidio”.

Una lettera che diventa una tappa miliare nella storia della riconciliazione di Schio (e non solo), raccontata in esclusiva sull’ultimo numero del settimanale Famiglia Cristiana. Davanti al vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol infatti Valentino Bortoloso (nome di battaglia Teppa), uno degli assassini dell’Eccidio di Schio, e Anna Vescovi, figlia di una delle vittime  dell’Eccidio, il Podestà di Schio Giulio Vescovi, hanno firmato infatti un breve testo che mette la parola fine anche alle polemiche degli ultimi mesi. Un breve, densissimo e commovente testo firmato dagli ultimi testimoni diretti di quello che accadde la notte tra il 6 e il 7 luglio del 1945, quando un gruppo di ex partigiani appartenenti alla Brigata Garibaldi fece irruzione nelle carceri di Schio dove erano reclusi un centinaio di persone – fra cui molti fascisti in attesa di giudizio – insieme ad alcune donne e detenuti comuni. Quella notte i partigiani di fascisti ne uccisero 54, tra cui appunto il Podestà di Schio e papà di Anna, che in quel momento aveva solo due anni.

“Valentino Bortoloso, partigiano, uno degli esecutori materiali dell’eccidio contro il fascismo, avvenuto il 7 luglio 1945, che oggi possiamo considerare inutile e doloroso, e Anna Vescovi, ultimi e unici testimoni diretti, consapevoli che è giunto il momento di pacificare le tragiche contraddizioni della stessa storia di 70 anni orsono, in un sacro e umile silenzio, con grande atto di coraggio da entrambe le parti, ci siamo incontrati in un commosso abbraccio di pace e perdono”.

Una lettera provocata anche dall’ultima vicenda della medaglia della Resistenza conferita a Bortoloso e poi considerata “inopportuna” e quindi ritirata. Un fatto che ha aveva riaperto la ferita in città, nonostante quel “Patto di concordia” sottoscritto grazie alla mediazione del Comune il 17 maggio del 2005 fra familiari delle vittime, le rappresentanze di ex partigiani, il sindaco e le associazioni di Schio. E’ stato anche per ribadire l’importanza di quel patto che Anna e Valentino hanno scritto e firmato la lettera resa pubblica oggi.

“Teppa”, 94 anni, che da tempo si è imposto il silenzio perché ogni sua dichiarazione finiva con l’essere strumentalizzata, racconta a Famiglia Cristiana che “non è stato facile arrivare a comporre una lettera aperta condivisa, ma alla fine, anche grazie alla mediazione di padre servita Antonio Santini, ce l’abbiamo fatta, rinunciando ognuno di noi a un pezzo delle nostre verità”.

Se il punto di arrivo è stata la lettera di oggi, il punto di partenza è stata un’altra lettera, quella scritta a Bortoloso proprio da Anna Vescovi, 73 anni, psicologa che oggi vive a Vicenza.

“Caro signor Valentino Bortoloso, sono Anna Vescovi, da tempo vorrei parlare con lei, da quando in me è sorto il desiderio di conoscerla, Forse questo mio desidero la stupirà, ma le assicuro che sento come non provenga solo da me, ma da Altrove”. Una lettera coraggiosa, che ha cambiato due vite, che forse ha riconciliato un uomo che – sta attraversando l’ultimo pezzo della sua vita – con se stesso. “Riflttendo – ha scritto ancora Anna – ho realizzato che lei e io siamo gli unici e ultimi testimoni di quel mare di dolore che si è riversato su di noi nel luglio del ’45 e che in altri tempi e luoghi ha continuato e continua a riversarsi”.

“Quando un uomo uccide un altro uomo – spiega Anna Vescovi al giornalista di Famiglia Cristiana Alberto Laggia – uccide sempre un po’ anche se stesso. Mi sono messa nei panni di Bortoloso e ho sentito dentro di me il suo dolore. E ho capito che, se lui aveva tolto la vita a mio padre, io potevo ridarla a lui”. Bortoloso le ha risposto per iscritto il 25 ottobre scorso, accogliendo la richiesta di incontro: “La ringrazio, date le circostanze pesanti che gravano in maniera diversa sulle nostre spalle, di aver avuto la forza e il coraggio di rivolgersi a chi, pizzicati entrambi negli ingranaggi  mostruosi della guerra, le ha tolto il padre”. I due si sono incontrati una prima volta nel novembre scorso. “Ci siamo abbracciati – racconta il partigiano – e, ammetto, io che non sono solito alla commozione, ho pianto”.