In centro stop a kebab, money transfert e negozi non “di qualità”: scoppia la polemica

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In una vasta area del centro di Vicenza non sarà più possibile aprire negozi di macelleria non italiana, bigiotteria di scarso valore, money transfer, fast food, oggettistica etnica, cannabis, sexy shop e molte altre tipologie di commercio. Lo ha deciso venerdì scorso la giunta comunale, che ha dato il via libera alle nuove norme sull’insediamento delle attività commerciali, artigianali e dei pubblici esercizi, approvando un regolamento che sarà inviato alla Regione Veneto per la sottoscrizione dell’intesa, prima di approdare in consiglio comunale.

Una decisione che porta con sé un’idea ben precisa di chi debba vivere il centro urbano della città. “Questo documento – dichiara il sindaco Francesco Rucco – rispecchia in pieno la nostra visione di un centro storico vivo, attrattivo e di qualità. La vocazione di Vicenza, città d’arte patrimonio Unesco, è turistica. Nostro compito è valorizzare concretamente questa sua identità, promuovendo azioni forti di rilancio, a partire dall’agevolare l’apertura delle attività che sono in linea con la naturale attitudine al bello della nostra città”. “La semplificazione degli adempimenti necessari ad avviare le attività imprenditoriali e il processo di liberalizzazione voluto dalle norme europee, hanno prodotto nel tempo il proliferare di esercizi spesso slegati dal contesto urbano, o addirittura in contrasto con la specificità locale. La recente emergenza Covid non ha di certo aiutato il mondo del commercio. Tutto ciò ci ha spinto a voler ripensare la nostra idea di città e a elaborare questo grande progetto di riorganizzazione e di rilancio per Vicenza” aggiunge l’assessore alle attività produttive (e candidato alle regionali con Fratelli d’Italia) Silvio Giovine.

Le nuove norme si applicheranno in tutta la vasta area dentro la circonvallazione interna della città, dentro quindi al perimetro composto da viale Venezia, viale Risorgimento, viale Margherita, via Legione Gallieno, via Rodolfi, via Fratelli Bandiera, via Bartolomeo D’Alviano, viale Mazzini e viale Milano, compresa l’area tra corso San Felice, via Torino e via Genova.

Per la precisione, all’interno di questa zona non sarà più possibile aprire negozi che vendono chincaglieria e bigiotteria di bassa qualità, prodotti a base di cannabis, oggettistica etnica, usato (fatta eccezione per abbigliamento e accessori vintage, arredo e oggetti da collezione), accessori per telefonia (tranne nel caso dei marchi di telefonia mobile), nonché sexy shop, macelleria e polleria non italiana (compresa la carne halal), carrozzeria, gommista, meccatronico e centri di revisione, phone center, telefonia, fax, Internet point, money transfer e money change, compro oro, lavanderie self service, centri massaggi non abbinati ad attività estetica. Saranno interdette anche le aperture delle medie e grandi strutture di vendita di prodotti alimentari e non alimentari.

Sono previste nuove norme anche per quanto riguarda i pubblici esercizi e le attività di artigianato alimentare. Nel centro storico inoltre non sarà più possibile aprire i bar e i ristoranti affiliati alle grandi catene (quelli cioè che somministrano prodotti non riconducibili alla tradizione alimentare locale), le attività caratterizzate dal servizio di pasti industriali precotti, i fast food e i locali in cui la vendita/somministrazione è effettuata in via esclusiva tramite apparecchi automatici.

Il nuovo regolamento fissa anche alcuni livelli di qualità minimi, come il wifi gratuito, i menu plurilingue, il servizio al tavolo, i sistemi di illuminazione a basso consumo, l’offerta di seggioloni per i clienti più piccoli e di spazi attrezzati per il cambio degli stessi, nel caso di locali di superficie più ampia. Analogamente, non sarà più possibile aprire le attività che effettuano la vendita per asporto e il successivo consumo dei prodotti alimentari sulla pubblica via, a eccezione di panifici, pasticcerie, gelaterie, yogurterie e della produzione della sola pizza per asporto, per limitare il fenomeno dei possibili bivacchi dei clienti e dell’abbandono dei rifiuti in strada. Allo scopo di favorire le operazioni di controllo e di repressione dei comportamenti illeciti da parte delle forze dell’ordine, inoltre, sono state create nuove misure interdittive, a impatto crescente, che sanzioneranno in modo sempre più incisivo chi ripeterà i comportamenti illeciti nel corso dello stesso anno solare. L’obiettivo esplicito dell’amministrazione comunale è consentire la convivenza pacifica con i residenti, “per prevenire o limitare gli episodi di rumori molesti, specialmente in orario notturno, e di eventuale degrado urbano” (come cita la nota del Comune). Viene infine rimosso il divieto assoluto di nuove aperture di pubblici esercizi in contra’ Pescherie vecchie e contra’ Tre scalini, che era stato introdotto dall’amministrazione Variati nel 2012.

Lanciato il nuovo regolamento, come immaginabile è montata la polemica. “Sarà in centro per ricchi, per pochi” sentenziano Carlo Cunegato e Elisa Coltro de Il Veneto che Vogliamo. “Chi abita in centro se vorrà acquistare prodotti più economici deve andare altrove. Questa è la Vicenza vista dalla destra: una facciata patinata di ipocrisia che nasconde il disimpegno a voler creare un centro culturalmente attrattivo, un luogo di scambio, una città che sia in grado di offrire occasioni e iniziative che guardino al futuro. Scelte che indicano l’incapacità di risolvere i problemi denunciati dagli abitanti come il degrado sociale e ambientale. Le soluzioni da prendere siano altre. Non si risolve il problema dello spaccio abbattendo un muretto, non basta utilizzare le forze dell’ordine per multare gli homeless. Non è precludendo la possibilità di offrire ai cittadini una più vasta scelta di prodotti che si rende il centro attrattivo. Un’amministrazione degna di una città come Vicenza dovrebbe essere all’altezza di analizzare e orientare le sue azioni verso una reale e concreta volontà di ridurre la marginalità sociale. Servono progetti importanti e coraggiosi di accoglienza, formazione, collaborazione pubblico-privato coinvolgendo associazioni e volontariato. Quella Rucco è un’amministrazione interessata alla facciata e non al cuore del problema, che spaccia per soluzione la propria inadeguatezza”.

Di “discriminazione commerciale” parla invece Anna Lisa Nalin, candidata alle regionali di +Europa. “Quella del commercio è un’attività che per sua natura deve essere libera a patto, solamente, che rispetti il decoro, l’igiene e l’ordine pubblico. Vietando la presenza di esercizi come il take away e i fast food, si discrimina un intero settore imprenditoriale oltre a rendere il centro storico meno attrattivo non solo per i giovani, sempre meno a loro agio nella nostra regione, ma addirittura per quei turisti che si cerca in tutti i modi di trattenere. C’è poi, come tipico di certa destra, la solita discriminazione contro comunità di immigrati. Proibire la ristorazione etnica è grave, insensato ed è un insulto a tutti gli immigrati perfettamente integrati e onesti contribuenti che vivono nelle nostre città. Non permettere, poi, l’apertura di supermercati, oltre che precludere opportunità di lavoro, crea un danno a livello di servizi. Da anni si denuncia lo spopolamento dei centri storici: limitare in questo modo le attività commerciali non può che aggravare questa condizione”.