Spettacolando – A Padova il tributo del principe De Gregori all’immortale Rimmel

Il 13 novembre scorso al Gran Teatro Geox di Padova, Francesco De Gregori ha portato in scena “Rimmel 2025”, un tributo ai cinquant’anni dello storico album: sì, sono davvero passati cinquant’anni.
Francesco è in splendida forma: bombetta nera in testa, occhiali scuri e quell’aria randagia da nobile direttore d’orchestra che sembra capitato lì per caso. Sembra felice, nonostante la sua nota avversione ai concerti, contesto chiassoso dove normalmente il pubblico ama cantare ( soprattutto i suoi capolavori). De Gregori però, invece di esser pieno di orgoglio, non ha mai amato i momenti in cui dagli spalti si alzano le voci ad accompagnare le sue parole così, appositamente, da sempre cambia i tempi musicali per disincentivare questa pratica popolare. Come dire: siete venuti qui ad ascoltare me, non siamo mica al karaoke!
Lo snobismo sarcastico da radical chic è un marchio di fabbrica quanto il suo look, dove la barba che lo accompagna dai tempi del liceo è solo un piccolo dettaglio del suo desiderio di celare, più che apparire. Lucio Dalla l’aveva soprannominato “Il principe”, per il popolo è sempre stato “il poeta”. Nelle serate dove si gioca a fare gli intellettuali, l’elenco delle possibili sue frasi da citare in una conversazione è infinito, almeno quando i dubbi che ci portiamo dietro ogni volta che abbiamo tentato (invano) di cogliere il senso delle sue magiche parole.
Il Bob Dylan italiano ha sempre giocato sul presunto significato dei testi delle sue canzoni e spesso abbozzato sulle interpretazioni che provavano a fornire i vari interlocutori nelle rare interviste che ha concesso. Del resto gli indizi, per disincentivare questa pratica perversa, lui ce li ha dati molto tempo fa. Ma io non ci sto più / e i pazzi siete voi (Alice). E qualcosa rimane / tra le pagine chiare e le pagine scure (Rimmel). E scaricò le sue pistole in aria / E regalò le sue parole ai sordi ( Signor Hood), Il cacciatore uccide sempre per giocare / Io uccidevo per essere il migliore. (Bufalo Bill).
Beffardamente poi, nella canzone che porta nel testo la risposta (Niente da capire), ci dice tutto. È troppo tempo amore / che noi giochiamo a scacchi / mi dicono che stai vincendo e ridono da matti / ma io non lo sapevo che era una partita / posso dartela vinta e tenermi la mia vita / però se un giorno tornerai da queste parti / riportami i miei occhi e il tuo fucile / e non c’è niente da capire.
Forse il Principe è come L’uomo che cammina sui pezzi di vetro / dicono ha due anime e un sesso, di ramo duro il cuore / E una luna e dei fuochi alle spalle / mentre balla e balla Sotto l’angolo retto di una stella.
In ogni sua canzone, qualunque fossero state le milioni di interpretazioni che avrebbero potuto avvicinarsi a ciò che ha mosso la costruzione dei testi di quelle canzoni, al termine di ogni inutile dibattito sul tema, possiamo solo dire che ogni frase sottintende la vita, proprio come l’uomo che cammina sui pezzi di vetro.
E’ stato un gran concerto e la sua voce è strabiliante, come sempre. Ha cantato con l’impegno del gran professionista che accoglie l’applauso del pubblico pagante come nella Donna Cannone, storpiando i tempi per indurci a non cantare ma non così tanto da impedircelo davvero. Ci ha persino lasciato lo spazio per cantare due strofe tutti noi insieme – in una sola canzone, ovviamente – mentre lui, in silenzio, accompagnava con le braccia le parole per poi invitarci a ballare un valzer sulle note di Buonanotte Fiorellino.
Un modo gentile e discreto per dirci che, nonostante tutto, è contento di salire sul palco e averci numerosi ed entusiasti di fronte a lui. Ed è contento se torniamo a casa felici, anche se probabilmente non lo ammetterebbe mai.
A noi resta il privilegio di poter dare una risposta convincente a qualsiasi domanda riceviamo citando Il Principe, sentendoci molto molto fichi.
Paolo Tedeschi
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