Spettacolando – Happy birth+Day, un viaggio surreale con tre icone al ridotto del Comunale

C’è un certo coraggio nel portare in scena un testo che decostruisce il tema della felicità senza retorica e moralismi. È il caso di Happy Birth+Day — Stelle terrestri, scritto da Anna Zago e diretto da Nicoletta Robello, che lo scorso 11 dicembre ha animato la Sala del Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza con un racconto ironico e profondamente umano.
Lo spettacolo, interpretato da Manuela Massimi, Anna Zago e Lia Zinno, prende il via da una situazione banale: tre donne in farmacia che si contendono l’ultimo flacone di antidepressivi, specchio della fragilità contemporanea.
L’idea di costruire un intreccio narrativo a partire da un luogo di attesa, come la farmacia, funziona. È uno spazio sospeso, quotidiano, eppure carico di significati, dove emergono ansie, urgenze e tentativi di ricomporre il proprio equilibrio. La sceneggiatura permette alla vicenda di spostarsi gradualmente dalla concretezza alla metafora, dove la memoria individuale si intreccia con le figure iconiche del Novecento: Jacqueline Kennedy, Marilyn Monroe e Maria Callas.
Queste presenze non sono vezzi culturali, né figure mitizzate richiamate per creare effetto. Sono invece espedienti attraverso cui le tre donne contemporanee decifrano il proprio vissuto. Non imitano le tre dive, non cercano di farle rivivere: le usano come specchi. In ciascuna di queste icone riconoscono parti inconsapevoli di sé: il lutto silenzioso di Jackie, la fragilità esposta di Marilyn, la voce che chiede di essere ascoltata della Callas, mescolate alle pressioni di madri, mariti e società.
La scrittura di Zago gestisce questi passaggi con delicatezza e dinamismo, evitando il rischio dell’eccesso e mantenendo equilibrio tra realtà e immaginazione. La regia di Nicoletta Robello asseconda la struttura fluida con una messinscena essenziale.
La chimica tra le tre è palpabile: si ascoltano, si rispondono, si sovrappongono con armonia, contribuendo a una coralità che è uno dei punti di forza dello spettacolo. Ma è nel gioco con cui si confrontano che si sprigiona la bellezza, l’energia e la forza dello spettacolo, dove le anime delle attrici si fondono con la storia delle icone in una sovrapposizione stile eclissi lunare, che inverte la trama e la struttura.
Così all’improvviso troviamo Anna Kennedy, Manuela Monroe e Lia Callas a correre sul palco vestite da tennis, nel mentre elencano le pressioni e le sfighe che hanno subito e dovuto gestire. Se la contendono Anna Kennedy e Lia Callas che vanno sul 30 pari fino alla vittoria meritata di Callas, scontata ma fino a un certo punto.
La sfida vera era nell’introspezione che partiva da una domanda semplice: com’erano e che donne erano davvero le tre icone? I rotocalchi di allora sono i social di oggi, ma il meccanismo è sempre lo stesso. Guardiamo le foto sorridenti di divi dello spettacolo abbracciati a sexy partner; li vediamo sfoggiare sorrisi ammalianti, contornati da un lusso patinato che sogniamo e che non raggiungeremo mai. Vediamo stelle illuminarsi nel firmamento, cadere, a volte sprofondare e sparire, altre rialzarsi in volo; le vediamo piangere dietro uno schermo, le vediamo imbruttite dalla chirurgia plastica o dalle semplice realtà ripresa di nascosto. Eppure. Eppure non riusciamo a non sognare di essere al loro posto pensando che quella sia la realtà e non una delle tante rappresentazioni della stessa bugia.
Marilyn Monroe diceva che è meglio piangere in una limousine che schiacciati in un autobus all’ora di punta: è probabile sia vero. Ma siamo davvero in grado di misurare la tristezza (o la felicità) che si nasconde dietro la maschera di un’icona che profuma di Chanel N° 5?
E’ un viaggio attraverso il tempo quello immaginato da Zago, che porta le tre attrici a spogliarsi progressivamente del personaggio fino a trovarsi loro tre, a parlare di loro stesse, dopo aver provato a destrutturare e ricomporre la domanda che una voce fuori campo riproponeva con ossessione in varie forme: sei una donna di successo? E’ attraverso il ragionare su quella parola, su cosa possa voler dire essere una persona di successo, che avviene progressivamente il distacco tra i personaggi, fino al trovare le tre attrici a vestire i panni di loro stesse nella realtà, chiacchierare sul palco con naturalezza di amori e rimpianti.
Manuela, Anna e Lia non potranno mai diventare icone come Jacqueline, Marilyn e Maria (e forse nessuno potrà mai), ma possiamo davvero dire che non hanno avuto più successo di loro? Cos’altro può essere il successo se non avvicinarsi alla serenità con momenti di felicità? O pensiamo ancora di poter considerare come unico parametro di successo il percorso professionale, il potere raggiunto e i soldi accumulati, senza pensare che il prezzo da pagare spesso ha ucciso cuore e anima?
Monica Vitti della felicità diceva che non è uno stato permanente, ma l’attimo sublime in cui si riesce a schivare uno dei tanti colpi continui della vita: forse aveva ragione lei.
La felicità è anche nella trasformazione; e quindi noi, che ci siamo svegliati diversi il giorno dopo lo spettacolo perché abbiamo viaggiato con le nostre icone risvegliandoci in una realtà che ci ha fatto sentire più vivi, non abbiamo forse raggiunto il successo?
Paolo Tedeschi
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