Eugenio e i tanti “invisibili” che nelle nostre cooperative trovano una seconda famiglia

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Incontro Cristina Cogo e Costantino Leonardi nel corridoio che porta alla psichiatria dell’ospedale Alto Vicentino. Sono le nove e mezza di venerdì. Ci incrociamo proprio sulla pesante porta che, dice un cartello, deve rimanere chiusa “per tutto il giorno 24/3”. Di là di ci avvicina all’area dove, poche ore prima, si è scatenato un inferno di fiamme – e soprattutto fumo – che ha causato la morte di Eugenio Carpenedo, scledense di 63 anni che era ricoverato lì da una decina di giorni. Cristina e Costantino sono vicepresidente e direttore della cooperativa sociale Nuovi Orizzonti di Santorso e si occupano, fra le altre cose, della comunità alloggio Casa Gialla, che da un po’ di anni ospita persone con disabilità psichica. Più che un servizio, una famiglia. Quando li incontro, hanno appena saputo della morte di Eugenio: occhi lucidi, nessuna voglia di parlare. Anche la vittima del rogo del’ospedale, infatti, viveva alla Casa Gialla. Come tanti, specie quando alla disabilità si sommano gli acciacchi dell’età e le famiglie o i parenti non riescono più ad occuparsi di loro.

Le persone residenti a Casa Gialla sono otto, più due in accoglienza temporanea. Quando con alcuni colleghi andiamo a incontrarli stanno pranzando e aspettiamo fuori l’arrivo dei responsabili. Non ci sono solo loro, ma anche persone di altri servizi della cooperativa che sono venuti qui per pranzo. Qualcuno viene sul terrazzo a parlare con noi, a condividere pezzetti di vita passata, ferite che hanno segnato l’esistenza. Vite fragili in un mondo che la fragilità troppo spesso la rifiuta.

Era conosciuto da tanti a Schio, Eugenio, aveva vissuto molti anni col fratello nel quartiere di Santissima Trinità, trascorrendo le sue giornate fra gli spazi dell’allora ospedale de Lellis e i parchi cittadini. Solare, aperto, atletico, era una “istituzione”. “Col fratello erano legatissimi – racconta Cristina -, è arrivato da noi tre anni fa, prima per periodi brevi, quelli che noi chiamiamo moduli respiro, poi ha accettato di venire qui definitivamente. Era facile  voler bene a Eugenio, era sempre sorridente, amava la vita semplice, stare all’aria aperta, le nostre gite. Anche alla marcia della solidarietà del settembre scorso, è stato uno di quelli che si è fatto a piedi il percorso da Schio a Santorso, mentre in molti hanno utilizzato il trenino per tornare qui. Ha avuto le sue difficoltà, ovviamente”. “Ultimamente – spiega ancora Cristina – non stava bene, era più nervoso e poi aveva sempre questo problema della bronchite dovuto al fumo. Non dormiva, e vista l’accentuazione dei suoi disturbi la dottoressa aveva disposto il ricovero. Noi andavamo a trovarlo quasi tutti i giorni. Eravamo stati lì anche la mattina precedente, era tranquillo. Con il fratello si erano visti anche la sera prima”.

In tanti hanno salutato Eugenio con un pensiero, ieri. “L’odore acre e la fuliggine anche nel mio ambulatorio. L’alba ti ha accompagnato dalla tua mamma, vola alto, simpatico e acuto Eugenio. Tu eri U Genio” ha scritto su Facebook la coordinatrice di psicologia clinica dell’ospedale di Santorso, Emilia Laugelli, che lo aveva seguito anni fa. “Era brillante nella conversazione” racconta Rossella, volontaria del gruppo Letture ad Alta Voce che viene qui una volta alla settimana a leggere brani agli ospiti.

Esperienze come questa della Casa Gialla sono davvero espressione di quella qualità nel sociale che tanto caratterizza l’Alto Vicentino. Una qualità fatta di cooperative sociali impegnate su fronti diversi, dalla disabilità fisica e psichica al disagio e alle fragilità sociali, dai migranti alla cultura della sostenibilità ambientale: tante “famiglie”, che lavorano sottotraccia, senza clamori, abituate a fare (bene) e non a parlare. Cooperative e associazioni ben conosciute e apprezzate da chi la fragilità ce l’ha in casa e che anche in una giornata come quella di ieri, prima di tutto hanno messo davanti la dignità della persona, perché gli ospiti sono come figli o fratelli minori. Per lavorare in posti così non bastano professionalità e profondità di visione, serve anche capacità di fare rete e soprattutto una grande umanità. Cervello e cuore: è una scelta di vita.

Cosa significhi lavorare in questi posti lo ha ricordato ieri proprio il sindaco di Santorso, Franco Balzi, che in questo mondo ha le sue radici. Vale la pena allora di chiudere questo pezzo riportando le sue parole.

Due lutti ‘particolari’ hanno colpito la comunità dell’Alto Vicentino nell’arco di pochi giorni. Non sono persone di ‘quelle che contano’, abitualmente al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Il rischio è di lasciarli andare via, in modo distratto e superficiale, come forse sono sempre stati trattati nella loro esistenza. Vale invece la pena fermarsi, in questa nostra vita così frenetica, per fare qualche breve riflessione. Se ne sono andati, Alessandro e Eugenio, accomunati da tanti fili invisibili. Entrambi avevano alle spalle fatiche particolari, da ‘persone fragili’ come erano. Il primo, 25 anni, travolto da un’auto mentre attraversava una strada sulle strisce pedonali, rientrando a Vicenza dal servizio residenziale dove da tempo viveva. Il secondo, 63 anni, morto su un letto del reparto di psichiatria per asfissia dovuta al fumo di un fuoco quasi sicuramente da lui stesso appiccato. Due storie umane di fatiche profonde, di quelle che non passano mai; di esistenze travagliate, di cadute, errori, debolezze che non si risolvono mai. Ma anche di tentativi di cercare quello che tutti ogni giorno cerchiamo: un poco di serenità, qualche frammento di felicità. Così diversi. Così anche in questo uguali a tutti noi. Due esistenze che si concludono in un modo tragico. Si piega la testa, e le braccia si fanno pesanti. Qualcuno piange. Qualcuno impreca. Qualcuno prega. Meglio fare silenzio. Meglio fare davvero comunità. Essere vicini a loro, Eugenio e Alessandro, e ai loro cari. Innanzitutto. Ma anche a tutti quegli operatori coinvolti. Non oso pensare al dramma che sta vivendo il personale del reparto… Solo chi conosce queste situazioni può riuscire almeno in parte a capirlo. Ma anche ai tanti che lavorano nelle comunità che accolgono abitualmente queste persone. Alessandro viveva a Malo, nel Gruppo Appartamento dell’Orsa Maggiore. Eugenio in Comunità Casa Gialla, di Nuovi Orizzonti. Due cooperative sociali che, al pari di tante altre non dissimili, questo territorio lo hanno qualificato, con il loro impegno a favore delle persone più deboli. Operatori e cooperative a cui dovremmo ricordarci di dire grazie, qualche volta, per questo lavoro così difficile, sempre a contatto diretto con la sofferenza e il disagio. Sono sicuro che questi sono giorni molto tristi, per tutti loro: lavorare in questi servizi vuol dire intrecciare la propria vita con quella delle persone accolte. E vivere con dolore profondo questi lutti, come accade in una qualsiasi famiglia la perdita di un proprio caro. Un abbraccio forte a tutti. Franco Balzi.