Spettacolando – Brunori Sas incanta l’Arena: ironia, malinconia e cori da stadio sotto le stelle

Con l’autoironia di un impiegato dell’anagrafe e la profondità di un filosofo esistenzialista che brama per un premio aziendale, Dario Brunori, alias Brunori SAS, sbanca l’Arena di Verona.

La serata è fresca, soprattutto per un calabrese che non finirà di ringraziare un pubblico rimasto stoicamente fino alla fine senza una coperta sulle gambe. Ma il meteo è questione di percezioni; e se è vero che siamo oramai dipendenti dal tepore delle ottobrate (che riteniamo un diritto acquisito) e che qualche grado in più lo avremmo gradito tutti, l’atmosfera ha il calore intimo di un jazz club.

Il concerto si apre con La verità e gli spettatori, una massa di malinconici, disillusi sentimentali, cantano come si fosse in macchina o in un bar sulla spiaggia . E’ un concerto con lampi di karaoke, mescolati a una sana introspezione di massa, che passano per momenti Zelig, come la mamma tra il pubblico con cui ha un dialogo costante, e la compagna con cui fa un duetto sul palco ( presentata in stile nepotismo). Al netto dell’ironia dissacrante alla Zalone, i testi di Brunori sono perle vere e le battute continue hanno l’intento di alleggerire le nostre anime, più che strapparci delle risate. Del resto, “anche la felicità è un pensiero triste”: l’ha scritto lui, ma lo pensiamo anche noi.

Brunori all’Arena è la conferma della solida crescita del suo percorso artistico. Ne è passato di tempo da quando sembrava arrivato lì per caso, da quando aveva addosso l’odore di una meteora autunnale, da quando i testi delle sue canzoni sembravano avere la sfacciata fortuna di una hit di successo. Con la testa e il cuore è rimasto fedele a se stesso, e negli anni ha lavorato serio, a testa bassa; non finisci sul palco di un’Arena sold out per caso, non diventi direttore d’orchestra di un gioco che cambi a tuo piacimento se non hai la consapevolezza di chi sei. Se non sai che le tue parole vengono da dentro e si voltano indietro solo per la cementare la memoria storica: per ricordarsi che si può andare lontano.

Musicalmente, la band è impeccabile: arrangiamenti curati ma mai leziosi, fiati e archi che colorano i momenti più lirici, una sezione ritmica che fa ballare anche chi era venuto solo per piangere un po’.

Lamezia Milano è atmosfera da festa di provincia; con Al di là dell’amore  Brunori chiede di abbassare le luci e invita tutti a illuminare l’Arena con i cellulari, per ricreare quella magia pop che non ci stanchiamo di ammirare. Il finto bis dichiarato! (grande Brunori) è una mini-suite che riassume il suo universo: Arrivederci tristezza, Il costume da torero e Per due che come noi. Tre canzoni, tre stati d’animo, un’unica certezza: Brunori è diventato il cantore ufficiale di quell’Italia che si sente ironica e malinconica nello stesso respiro, senza vergognarsene: capace di un sorriso e di guardarti ancora negli occhi. Scusate se è poco.

Paolo Tedeschi

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