Che cos’è “casa”?

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Quando rientro in terra natìa a volte mi scappa di dire “Questo week end non ci sono, torno a cas… Ehm torno dai miei“. Potrei dire anche “Torno su”, ma non tutti sono in grado di orientarsi geograficamente tra il nord e il sud e i più rischiano di far confusione. C’è chi va su, chi va giù, chi non va proprio e non ci capiamo. Ma il punto non è questo. Il punto è che ci tengo molto a non dire “torno a casa“, anche se a volte è più forte di me. Chiariamoci, il luogo in cui nasci, quello in cui cominci a prendere le misure del e col mondo, quello sarà sempre casa. In quella ci capiti, ci caschi dentro. Ma ad un certo punto quella casa comincia a stare stretta e non puoi che metterti alla ricerca di qualcosa che all’inizio casa ancora non è, ma (speri) lo diventi. Almeno per un po’.

Negli ultimi dodici anni, cioè da quando ho cominciato la mia vita da “fuori sede”, ho cambiato otto case. Che poi cambiare spesso casa aiuta: ti obbliga a selezionare il necessario, a lasciarti indietro quello che non serve più. Impari a vivere leggera, la roba accumulata non fa che appesantire i traslochi, i movimenti. Fra queste otto case ci sono state: la casa universitaria di via Pascoli a Trento in cui si provavano le prese di Dirty Dancing, che ora sembra piuttosto lontana (sì ok, ok, non è che sembra, lo è davvero); la RogerHouse, esperimento puro di convivenza europea tra due italiane, un francese, due bulgare, un greco, un russo, una tedesca un cortiletto nel retro e un barbecue; la piccola baita, in via Saragozza, ricoperta di legno e con un oblò da cui spiare tra la zona notte a la zona giorno, che doveva essere solo “un appoggio” temporaneo e che hai chiamato casa per due anni. E ora c’è la casa. Quella cercata, pensata, voluta (più o meno) così.

Ciascuna di queste è stata un po’ casa. O meglio, lo è stata nella misura in cui:
è quel posto in cui hai piacere di rientrare certe sere, per starci, per raggomitolarti e non uscire più, perché non hai bisogno di andare in nessun altro luogo se non lì e chiudi il mondo fuori;
è il profumo che esce dal forno quando cucini per qualcun altro, che sia su invito o semplicemente perché passa di lì e hai la piena libertà di chiedergli di restare;
è il profumo del bucato steso, che ogni casa c’ha il suo e te lo porti addosso tutto il giorno (e sì, anche l’ammorbidente fa il suo);
è dove puoi girare nuda o con pigiami imbarazzanti, lasciando le porte aperte, le tende delle finestre scostate che quello che conta è quello che è dentro, mica quello che sbirciano gli altri da fuori;
sono i mobili che hai montato orgogliosamente con un team tutto al femminile (e, incredibile!, sono ancora in piedi);
è dove tutto (tu per prima) trova il suo posto, si mette comodo, anche in mezzo al disordine.

Casa “è un posto in cui non devo spiegare chi sono, non devo per forza raccontare che cosa mi è capitato. Un posto in cui so già cosa troverò e se per caso troverò dell’altro non sarà una sorpresa. E se anche fosse una sorpresa andrà bene comunque“.

Ma casa è anche il proprietario del baretto sotto l’ufficio che ti vede passare alle 9 e mezza di sera e ti chiede se hai finito solo a quell’ora, accertandosi che vada tutto bene. E’ la fornaia che ti augura ogni mattina una “straordinaria giornata!”. Sono i portici di questa città che ti proteggono dall’acqua quando piove e che ti fanno ombra quando fa troppo caldo, che ti ascoltano quando cammini cantando o saltellando o attutiscono i singhiozzi quando non riesci a trattenerti. Sono le sue strade, in cui puoi anche perderti, alla fine saprai comunque da che parte tornare.

E’ la sorella che ti porti in casa, o forse è lei che ha portato te. E’ il fratello che chiami dall’altra parte del mondo, e basta la sua voce per farti ritrovare la strada di casa.

A volte, se si è fortunati, casa è quella persona che sai che ti sta aspettando, o che tu stai aspettando perché sai che arriverà, che tornerà lì, da te.

I tetti, le mura, i metri quadrati… quelli si acquistano, si vendono, si prendono in affitto, si lasciano. La casa invece si costruisce, si vive, si respira. E’ casa quando, anche solo per un istante, potrai dire sorridendo “this must be the place“.

“Home, is where I want to be
But I guess I’m already there
I come home, she lifted up her wings
I guess that this must be the place”