CineMachine | Green Book

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REGIA: Peter Farrelly● CAST: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Don Stark, Sebastian Maniscalco, Tom Virtue, Brian Stepanek, Joe Cortese, David Kallaway, Paul Sloan, P. J. Byrne, Iqbal Theba, Ninja N. Devoe, Jim Klock, Daniel Greene, Martin Bats Bradford, Anthony Mangano, Craig DiFrancia, Tracy Brotherton, Johnny Williams, David An, William E. Harris, Geraldine Singer, Rebecca Chulew, Emily LaGroue, Suehyla El-Attar, Ricky Muse, Dimiter D. Marinov, Nick Vallelonga, Leslie Castay, Mike Hatton, Jon Michael Davis, Harrison Stone, Gralen Bryant Banks, Brett Beoubay, Don DiPetta, Quinn Duffy, Jenna Laurenzo, Mike Young, Brian Distance, Kenneth Israel, Brian Hayes Currie, Jeffrey Klemmer, Kate Kuen, Elton LeBlanc, Cynthia LeBlanc, Shane Partlow, Jared Drennan ● GENERE: commedia, drammatico ● DURATA: 130 minuti ● DATA DI USCITA: 31 gennaio 2019 (Italia)

Green Book del 2018 per la regia di Peter Farrelly.

Storia: 1962. Frank “Tony Lip” Vallelonga (Viggo Mortensen) fa il buttafuori al Copacabana fino alla sua chiusura, celatamente causata dallo stesso, dopo aver rubato un oggetto molto caro ad un boss della malavita. Frank si arrangia come può, vivendo alla giornata e rimediando qualche soldo vincendo scommesse di abbuffata o lavoricchiando per diversi amici o parenti. Dopo alcuni giorni, viene ingaggiato come autista per il pianista nero Don Shirley (Mahershala Ali) che dovrà accompagnare in un tour di musica classica attraverso il profondo sud, negli anni in cui gli afroamericani erano costretti a trovare sistemazioni e servizi alternativi a causa delle leggi sulla segregazione al di sotto della linea Mason-Dixon, facendo affidamento su una guida chiamata The Negro Motorist Green Book.

Peter Farrelly torna alle regia, senza il fratello Bobby, con ancora la voglia di farci divertire, ma senza quel modo volutamente scurrile e volgare tipico di pellicole, tra le più note del regista, come Tutti pazzi per Mary (1998) e Scemo & più scemo (1994). Non questa volta.

Farrelly torna alla regia con un film fatto per gli Oscar, per un Viggo Mortensen che, come fece per Toro scatenato (1980) il grandissimo Robert De Niro, ha messo su peso per essere pienamente nella parte di Frank Vallelonga, detto “Tony Lip”, un uomo dalla mano pesante, come lo si potrebbe definire, ma profondamente buono e benevolo con il prossimo, anche se il film ce lo vorrebbe presentare diversamente, ma nessuno può credere che veramente questo personaggio sia un razzista. Anzi, possiamo dedurre che è il contesto in cui Tony è nato e cresciuto che lo ha reso evasivo nei confronti dei “negri”, ai quali non mostra violenza, ma una sensibile tolleranza, che si esprime pienamente quando Tony parte per questo lunghissimo viaggio, che lo terrà lontano dalla sua famiglia per ben otto settimane, con il suo compagno di sventura, Don Shirley.

In questo road movie basato su storia vera, sceneggiata in parte dal figlio di Tony Vallelonga, Nick Vallelonga, possiamo recepire l’angoscia del razzismo che non colpisce solamente l’afroamericano, ma colpisce il diverso, qualcosa che sta lontano da noi per forma e sostanza. Di fatto possiamo notare come il personaggio di Don Shirley si trovi nella metaforica condizione del pesce fuor d’acqua in ogni possibile contesto, sia quando sta in mezzo a dei bianchi o dei neri. In entrambe le due occasione, viene applaudito o viene malmenato. Perché? Perché è nero e questo da fastidio ai bianchi. Perché è nero, ma si comporta come un bianco e questo da fastidio ai neri. Quest’ultimi in particolare che vengono definiti da Vallelonga come “la tua gente”, quando è palese che questo appellativo non calza all’esperienza di vita di Shirley che recepisce tale appartenenza.

In questo A spasso con Daisy (1989), dove i ruoli vengono travisati ed invertiti, la domanda fondamentale è: perché non possiamo essere quello che siamo e perché le persone ci devono etichettare con un “essere di” collegato al colore della pelle o al paese di provenienza?

Una domanda che si rivela ancora più interessante quando è lo stesso Tony ad essere vittima di un razzismo dovuto alle sue origini italiane che dovrebbero fare di lui un mafioso, mangia spaghetti. Quando nella realtà egli cerca costantemente di evitare qualsiasi impiccio con la malavita, anzi la sbeffeggia in certi momenti, e mangia veramente di tutto, dagli hot dog con salsa alle alette di pollo fritte del Kentucky. Certo una cosa lo spettatore ha capito, ovvero che a Tony l’appetito certo non manca.  

Detto questo la regia di Peter Farrelly sa raccontare, ma non sa stupire. La storia soddisfa anche i gusti più esigenti, grazie ad una sceneggiatura veramente ben scritta che è stata candidata all’Oscar assieme al La favorita (2018) di Yorgos Lanthimos e Vice – L’uomo nell’ombra (2018) di Adam McKay. L’unica annotazione negativa riguarda la storia appena accennata dietro al personaggio di Don Shirley di cui non se ne capisce bene il passato e, di fatto, sono molti gli indizi colti dal vissuto di questo grandissimo virtuoso del pianoforte, ma che non ci portano da nessuna parte, se non a capire quanto Don abbia sofferto e soffra nella sua posizione da voce fuori dal coro.

Alla fine sono le nostre debolezze a renderci umani ed è proprio quando mettiamo a nudo i nostri timori ed i nostri bisogni che scopriamo che siamo concretamente tutti uguali. Tutti naufraghi che scrutano l’orizzonte in cerca di una scialuppa di salvataggio. Il colore della pelle, la provenienza, il sesso sono cose che sono date per meccanismi biologici che dobbiamo imparare ad accettare, soprattutto quando sembra che l’unica soluzione per risolvere un problema sia cancellare il problema stesso. Questo riferito sia a noi stessi che agli altri nostri simili che per quanto diversi, per quanto distanti, condividono con noi le stesse sofferenze, gli stessi dolori, le stesse fatiche, chi più chi meno.

Green Book di Peter Farrelly è un gran bel film, di cui è stata fatta una grandissima pubblicità, e che sicuramente merita la visione in sala. Vi saprà divertire, vi saprà stupire e vi saprà anche far riflettere, se sarete in grado di andare oltre le due ineccepibili interpretazioni dei due attori protagonisti che hanno qui dato una dimostrazione eccelsa di che cosa voglia dire fare l’attore e di se sarete capaci di fermarvi sulla storia, raccontata stupendamente da un Peter Farrelly che giunto oltre la sessantina, forse ha voglia di impegnarsi con storie più vere e profonde, ma comunque sempre facendoci ridere, che non fa mai male.