CineMachine | Revenge

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REGIA: Coralie Fargeat ● CAST: Matilda Anna Ingrid Lutz, Kevin Janssens, Vincent Colombe, Guillaume Bouchède, Jean-Louis Tribes, Avant Strangel ● GENERE: azione, horror, thriller ● DURATA: 109 minuti ● DATA DI USCITA: 6 Settembre 2018 (Italia)

Revenge del 2017 per la regia di Coralie Fargeat.

Storia: Jen (Matilda Lutz) è una ragazza giovane e seducente che intrattiene una relazione segreta con Richard (Kevin Janssens), un uomo sposato e molto ricco. I due si trovano nella casa di vacanza di Richard dove giungono due suoi amici per una battuta di caccia. Jen piace molto agli amici di Richard ed una mattina uno dei due la stupra brutalmente senza ripensarci due volte. La ragazza scioccata e terrorizzata tenta la fuga, dopo aver minacciato Richard di raccontare tutto alla moglie. I tre riescono a raggiungerla e, inavvertitamente, Richard la spinge facendola cadere da un dirupo. Jen però non è morta e si ritroverà a doversi scontrare nuovamente con i tre uomini in un bagno di sangue.  

“Una trama improbabile”; “Eccessivo”; “Uno spreco di tempo e di sangue finto”. Questo è ciò che la maggior parte degli spettatori maschi avrà forse pensato quando sono andati a vedere Revenge di Coralie Fargeat. Eppure non c’è molta gente che lo è andato a vedere. In Italia Revenge ha incassato appena 318 mila euro, anche se la critica, sia quella ufficiale che non, ne hanno parlato tutto sommato abbastanza bene.

Il primo film della Fargeat che arriva anche in Italia, dopo circa un anno dalla sua realizzazione. Distribuito dalla Koch Media, con l’ormai amata etichetta Midnight Factory, Revenge è un titolo che interessa e si rivela interessante, in quanto è il primo titolo di discreto successo collegato al genere rape&revenge diretto da una donna.

A detta mia ci voleva uno sguardo al femminile, soprattutto da un genere che è stato per lo più dominato da registi maschi americani e orientali. Lo sguardo della macchina da presa sul fisico della Lutz nei primi momenti del film che oggettivizzano quel corpo, rendendolo ciò che molti maschi nella realtà osservano e bramano è un qualcosa che penso in molti non si sarebbero aspettati da una regia al femminile. Eppure la Fargeat gioca su molti di questi aspetti e non si svincola dagli stereotipi sulla bella ragazza, sbarazzina e provocante che usa il proprio corpo per raggiungere determinati obiettivi.

Ci sono donne e ragazze, anche molto giovani, che trasformano ed usano il proprio corpo per vezzeggiare degli uomini e non solo quelli di successo, ma anche perché pare che quella sia la prima cosa per cui si riconosce la potenza della donna: il suo aspetto, il suo portamento, il suo sex appeal. Del proprio corpo ognuno è libero di fare tutto quello che gli pare e piace, ma ritornando al film, la regista ci porta ad osservare una situazione che ben conosciamo fino ad un capovolgimento tanto irreale quanto cruento.

Vedremo la nostra Jen trasformarsi completamente tirando fuori la belva che è in lei, ribellandosi ed usando la forza nei confronti dei suoi tre aggressori. Qui l’esagerazione e l’irreale la faranno da padroni, regalandoci molte scene splatter e stomachevoli, che evidenziano ancora il carattere violento di questo titolo.  

All’inizio siamo quasi spinti a non riconoscere in nessuno l’eroe della storia. Jen si presenta come una bambolina sexy che ha arpionato l’uomo di successo, mentre gli uomini vengono presentati da subito come dei sudici maiali in più sensi. Insomma non si può tifare per nessuno, ma dopo lo stupro nei confronti di Jen il film parte e, deciso per la sua strada, ci porta ad una conclusione tanto tragica, quanto struggente.

Jen si è ficcata in una brutta situazione; si è messa con un uomo che è già sposato; ha voluto prendere la strada più facile, ma si merita di essere violentata, stuprata, uccisa e abbandonata? Nella realtà il film sarebbe durato una mezz’oretta, perché Jen subisce la violenza, tenta di fuggire e alla fine muore. Quella è la triste e reale storia di molte altre donne che, ahimè, non sono mai potute risorgere. Qui l’esagerazione, qui il cinema osa, dove la realtà si ferma.

Sono in molte le donne che subiscono crudeltà e violenza senza avere alcuna colpa, ma solamente, per il semplice fatto, che sono donne e sono riconosciute come deboli, in quanto donne.          

Non è solo una violenza fisica, ma una violenza molto più profonda: l’uomo che usa come pretesto allo stupro il fatto che una qualsiasi donna o ragazza sia provocante. Alle volte questo pretesto regge, in quanto “la ragazza se l’è andata a cercare”. Per il sottoscritto, ma ciò dovrebbe risultare scontato all’interno della normalità costituita, vedere una donna in minigonna o con la scollatura non è una scusa per ricoprirla di insulti, tartassarla di botte e abusare sessualmente di lei, perché le donne si possono ribellare e ci possono anche fare molto male a noi maschietti.   

Il messaggio del film è molto forte e molto incisivo. Con una regia molto solida, fatta di colori accesi, carrelli in movimento e piani lunghissimi ad evidenziare la piccolezza dell’uomo che picchia la sua donna, la storia ci mostra la forza enorme che ogni donna può avere dentro di sé, questa forza per lottare ed affrontare a viso aperto chi le ha fatto violenza e questo è sicuramente un messaggio di incoraggiamento per molte persone di sesso femminile, la fuori, che dentro di loro coltivano il desiderio di riscatto nei confronti di un sesso maschile spesso fin troppo opprimente ed oppressivo.