Spettacolando – La meraviglia di Romeo e Giulietta in chiave moderna ha scaldato i cuori all’Olimpico

Il 75° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza prosegue con un grandissimo successo. Dopo la prima nazionale di “Assassinio nella Cattedrale“, con Moni Ovadia e Marianella Bergilli, è stata la volta di “Romeo e Giulietta” liberamente tratto da William Shakespeare, con la direzione artistica di Giancarlo Marinelli: una produzione Tema Cultura, che ha strappato applausi a scena aperta per dieci minuti. Tutti strameritati.

I classici hanno guadagnato il privilegio di raccontare ciò che il tempo non ha saputo né potuto mutare. Nel fascino che li contraddistingue, come nell’immutabile attrazione, si annida la difficoltà nel rappresentarli senza cadere nella piatta banalità. Qualunque tentativo di moderna interpretazione si espone però all’inevitabile rischio di superbia di chi, non solo ha avuto l’ardire e il coraggio di metterlo in scena sentendosi dunque all’altezza del compito,  ma persino di re-interpretarlo con gli occhi di chi guarda i giorni nostri.

Nella tensione del confronto di chi in passato ha fatto bene, nelle migliori situazioni si riesce a non indignare nessuno: poi ogni tanto succedono pure i miracoli.
I protagonisti di questo spettacolo hanno un’età compresa tra i dodici e i vent’anni, e già questo sarebbe un grande azzardo, non fosse che gli attori sono quasi coetanei dei poco più che adolescenti Giulietta e Romeo, al momento della loro morte.
Romeo e Giulietta, simboli eterni dell’irraggiungibile. Il loro amore è stato scritto, venerato, cantato, riuscendo a oscurare ogni tentativo di avvicinamento, giacché eguagliarlo si presentava impossibile sul nascere. Secoli interi a studiare il loro folle amore suicida, a tentare di decifrarlo, a tentare di respirarne l’odore per rubarne un po’ per se.

Giulietta Capuleti, Romeo Montecchi,  un amore di ragazzi osteggiato dal volere delle famiglie, dalle pressioni della società, allora come oggi. Un amore cieco, eterno, ostinato. Un amore folle, scellerato, sciocco. Un amore istintivo, carnale, primitivo e persino banale. Questo è ciò che gli schiavi intorno a loro provano a ricordare ai due scellerati, questo è ciò che i loro alter ego sbattono in faccia ai due rincitrulliti per farli rinsavire. Ma come convincere un innamorato che lo stato in cui si trova altro non è che la dannata sospensione della lucida saggia razionale ragione? Come convincere un’innamorata a rinunciare a ciò che ha di fronte a se, fonte di emozionante felicità all’ennesima potenza? Come possono gli adulti convincere due adolescenti a rinunciare a ciò che loro stessi continuano in segreto a desiderare, rimpiangere e ricordare?
Come si può rinunciare a l’unica cosa di cui abbiamo bisogno per rendere la vita meritevole di essere vissuta?

La musica che ha accompagnato lo spettacolo, andato in scena in prima nazionale domenica 25 settembre e in replica il 2 ottobre, comincia con il più famoso omaggio al mitologico amore: il Romeo and Juliet dei Dire Straits, che mette i brividi  a ogni ascolto, che si mescola con il rock anni ’70 di Led Zeppelin, Rolling Stones e Genesis. Si parte con citazioni da Pulp Fiction e si chiude con la colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso di Morricone. Quando tutto sfiora il meglio possibile e si accarezza la magia, c’è poco da poter aggiungere.
Gli attori si prendono una valanga di incontenibili applausi: i loro sorrisi sul palco, increduli e veri, valgono quanto la forza di trattenere le lacrime appese agli occhi lucidi. Forse pensavano che piangere non è professionale, che è roba da ragazzini: così è finita che abbiamo pianto un po’ noi per loro.
Alla direzione artistica di Giovanna Cordova un inchino e un grazie immenso: un grazie profondo, di quelli che si devono a chi ti regala una boccata d’ossigeno e brividi lungo tutto il corpo.

Paolo Tedeschi