Un vicentino sulle orme di Marco Polo – #6 Divertirsi sulle Fan Mountain

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Riflessi sul lago Iskander Kul (foto Daniele Binaghi)

Le frontiere sono spesso linee immaginarie tracciate per motivi che poco hanno a che vedere con la realtà di chi vive nelle zone di confine; nei paesi asiatici ex-sovietici, poi, la real-politik ha creato divisioni dove in realtà per secoli non ce n’erano mai state, ed è difficile scovare le differenze da un lato all’altro, sembra quasi di giocare ad uno di quei quesiti proposti dalle riviste di enigmistica.
Ci eravamo lasciati in Uzbekistan, dunque, ed al di qua troviamo il Tagikistan, e cinque uomini ad attenderci: tre autisti, ché questa volta di veicoli ne abbiamo giusto tre più piccolini (due fuoristrada ed un furgoncino che, in quanto a capacità di inerpicarsi, si dimostrerà non da meno); Olamafruz, “fratello” del responsabile del tour operator che ci supporta in questo ennesimo “stan”; e, infine, Farrukhbek, la nostra guida, giovane che si rivelerà fonte di sorprese. Cinque kirghizi, dunque, a cui noi aggiungiamo due americani, una canadese, cinque britannici ed un italiano. sembra quasi l’inizio di una barzelletta!
Partiamo, verso Khodjent, e la strada asfaltata a macchie di leopardo scorre abbastanza rapida tra interminabili campi di cotone, dove centinaia di donne chine stanno raccogliendo i soffici batuffoli per riempire enormi sacchi; coloratissime nei loro vestiti, quando ci fermiamo per consumare il nostro pranzo su piattaforme di legno affittate da un intraprendente contadino ci incontrano volentieri, felici di scambiare quattro chiacchiere con questi visitatori che vengono da lontano per visitare il loro paese.
Arriviamo in città nel primo pomeriggio e ne visitiamo la zona principale, con la moschea dalla cupola scintillante che sembra fatta di cristallo verde e la grande piazza adiacente che pullula di vita, di passanti, di bambini a fare giri su macchinine elettriche, di uomini che animatamente parlano forse dei massimi sistemi, di persone che tornano o vanno all’adiacente bazar dove tutto è in vendita ma i venditori preferiscono mettersi in posa per le nostre macchine fotografiche, specie quelli muscolosi con trascorsi da lottatori, uno degli sport più diffusi in zona.
La sera e la notte le passiamo a casa di Hussein, altra vecchia conoscenza di Wild Frontiers: dopo anni passati a fare l’autista, per turisti e non, ha deciso di aprire le porte di casa sua, sistemando un po’ di stanze, per ospitarvi gruppi di viaggiatori di passaggio. Ceniamo all’aperto, di nuovo su una di quelle piattaforme di legno con un basso tavolino al centro, più comode di quanto possa apparire a prima vista anche grazie all’abbondanza di tappeti e cuscini che le ricoprono, e chiacchieriamo e chiacchieriamo e chiacchieriamo: l’atmosfera è davvero rilassata, queste esperienze di “home stay” si rivelano il più delle volte come ottime interruzioni della sequenza di hotel che fa parte dei viaggi, specie di quelli lunghi.

Al mattino una visita all’interessante e ben allestito museo nazionale, dove una guida ben preparata ci porta a conoscere le varie sale e, soprattutto, le vicende di Alessandro Magno e di Timur, entrambi personaggi la cui vita è indissolubilmente legata a queste zone, e poi via di nuovo, verso le montagne. Presto ci lasciamo alle spalle l’asfalto, viaggiando su strade sterrate in mezzo a vallate le cui pareti sembrano dipinte a mano da un pittore la cui tavolozza contiene principalmente rossi, arancioni, ocra e marroni. Passiamo a fianco di un laghetto dove le montagne si rispecchiano al tramonto, e dove siede comoda una delle dacie (le case di campagna) del Presidente della Repubblica – che qui, quando ci viene, arriva in elicottero, lui che può – e continuiamo ad inerpicarci su, su, finché arriviamo ad un piccolo altipiano dove ci attendono un villaggio sonnacchioso e i nostri nuovi ospiti. Il padrone di casa non c’è, ma ha lasciato dietro i suoi genitori, sua moglie e le sue tre bambine piccole ad occuparsi di noi, e l’ospitalità ed i sorrisi si sprecano di nuovo. Il clima è rilassato, la vita scorre tranquilla qui, in cima alle Fan Mountain, e noi ci adeguiamo, con passeggiate nel villaggio e visite alla sauna. La sera, mentre consumiamo la cena, ecco comparire la sorpresa: una coppia di artisti itineranti, lui che suona un lungo strumento a due corde e lei che balla al tempo della sua musica, danno spettacolo per noi, e passa poco tempo (ed una discreta quantità di birra e vodka) prima che anche noi e gli autisti ci si metta a ballare. Anche le bimbe decidono di partecipare, e si gettano nella mischia; una, ad un certo punto, mi “ruba” la macchina fotografica e si mette a scattare immagini delle sorelle e di tutti i presenti, possibilmente mentre fanno delle smorfie – è pure bravina, ed un paio delle sue foto le tengo come ricordo. L’alcol e l’atmosfera semplice e sincera disinibiscono persino i britannici, e pure Farrukhbek si dimostra un discreto ballerino: “questa musica ce l’abbiamo nel sangue”, ci dice, “e la balliamo fin da quando siamo piccoli”.
Il giorno dopo scendiamo a piedi al lago, dove poi ci raggiungono i veicoli per portarci in prossimità della gola dove l’emissario, stretto tra rocce incredibili, forma belle rapide e cascate; noi ne approfittiamo per fare merenda: ieri lungo la strada ci eravamo fermati ad un mercato della frutta e avevamo acquistato un paio di meloni freschi e succosi, ora è tempo di aprirne uno; trovo una roccia che possa servire da tavolo, e con il coltellaccio portato da Olamafruz preparo le fette che spariscono molto rapidamente, a quanto pare ben gradite. Una sosta in riva al lago ci permette poi di rilassarci un po’, con chi si mette a chiacchierare all’ombra e chi preferisce stendersi a prendere un po’ di sole; io, unico coraggioso (o pazzo) mi spoglio restando in costume e mi avventuro nelle acque gelate, per un rapido bagno che sicuramente mi ritempra corpo e spirito. Pranziamo a casa, e poi il pomeriggio è libero per chi vuole esplorare il villaggio, aggiornare i propri diari, proseguire nella lettura di libri, sonnecchiare. dopo tutto è una vacanza, e a volte fa bene staccare semplicemente la spina. La sera, dopo cena, usciamo nella notte buia (anche per i continui black out, probabilmente causati da qualcuno che nelle case intorno sta attaccando troppe stufette elettriche) a goderci il cielo stellato, chiaro e limpido anche se limitato dalle alte pareti rocciose che ci circondano e ci proteggono dal vento.
Lasciato il nostro accogliente nido sulle montagne, saliamo e scendiamo su strade tortuose e attraverso tunnel costruiti con la collaborazione dell’Iran e più bui delle gallerie del Pasubio fino a tornare all’asfalto e a raggiungere Dushanbe, la capitale. Io non sto per niente bene, ho forti dolori allo stomaco provocati da crampi, quindi ringrazio il cielo che il pomeriggio sia libero e me ne sto in camera a riposare; della cena se ne occupano Farrukhbek e Olamafruz, io saluto il gruppo scusandomi per il fatto di saltarla ma preferisco cercare di riprendermi prima del lungo viaggio che ci aspetta per l’indomani, quando lasceremo il Tagikistan e il suo territorio montagnoso al 95% per fare ritorno ai deserti dell’Uzbekistan. Funzionerà? Non funzionerà? Lo scopriremo solo vivendo.

 

Daniele Binaghi (pecorelettriche.it)

 

Le altre puntate:

#1 Da Venezia al Kirghizistan

#2 Lo yurt, questo sconosciuto

#3 Dove riposavano le carovane

#4 La vecchia nuova Kashgar

#5 L’ultimo, povero Khan