CineMachine | The Elephant Man

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REGIA: David Lynch ● CAST: Anthony Hopkins, John Hurt, Anne Bancroft, John Gielgud, Wendy Hiller, Freddie Jones, Michael Elphick, Hannah Gordon, Helen Ryan, John Standing, Dexter Fletcher, Lesley Dunlop, Phoebe Nicholls, Pat Gorman, Kenny Baker, Claire Davenport, Orla Pederson, Patsy Smart, Kathleen Byron, William Morgan Sheppard, Frederick Treves, Richard Hunter, Robert Lewis Bush, Roy Evans, Joan Rhodes, Nula Conwell, Tony London, Alfie Curtis, Bernadette Milnes, Carol Harrison, Hugh Manning, Dennis Burgess, Fanny Carby, Gerald Case, David Ryall, Deirdre Costello, Pauline Quirke, Marcus Powell, Lesley Scoble, Eiji Kusuhara, Patricia Hodge, Tommy Wright, Peter Davidson, John Rapley, Janie Kells, Lydia Lisle, Eric Bergren, Christopher De Vore, Harry Fielder, David Lynch, Ralph Morse, Fred Wood, Stromboli, James Cormack, Brenda Kempner, Chris Greener, Gilda Cohen, Teri Scoble, Robert Day, Hugh Spight, Teresa Codling, Marion Betzold, Caroline Haigh, Florenzio Morgado, Victor Kravchenko, Beryl Hicks, Michele Amas, Lucie Alford, Penny Wright, Jack Armstrong, Adam Caine, Tony Clarkin, Dave Cooper, Chick Fowles, Norman Gay, George Holdcroft, Juba Kennerley, Jay McGrath, Henry Roberts, Peter Ross-Murray, Kevin Schumm, Ian Selby, Guy Standeven, Reg Thomason ● GENERE: drammatico, biografico ● DURATA: 124 minuti ● DATA DI USCITA: 12 marzo 1981 (Italia)

“NO! IO.. NON SONO UN ELEFANTE! IO NON SONO UN ANIMALE, SONO UN ESSERE UMANO!”

The Elephant Man del 1980 per la regia di David Lynch.

Storia: Sullo sfondo dell’età vittoriana, il dottor Frederick Treves si trova di fronte ad un caso alquanto particolare, quello di John Merrick, un uomo deforme, vissuto per tutta la sua vita in cattività, trattato alla stregua di una bestia ed utilizzato come attrazione per uno spettacolo di strada. Treves prende a cuore la situazione del povero sventurato e una volta viste le terribile percosse infertegli dal suo “padrone” Bytes, lo conduce al sicuro in ospedale, dove Merrick si troverà accolto da volti circospetti e impauriti dalla sua presenza. Nel corso del tempo il personale dell’ospedale e molte personalità dell’alta società londinese, dovranno ricredersi sull’intelligenza e sulla personalità di Merrick, scoprendo in lui un animo buono ed affabile, ma soprattutto un uomo non abituato ad riceve così tanta gentilezza e così tanta attenzione.

“Un film come The Elephant Man dovrebbe uscire ogni quattro anni, perché vederlo fa bene al mondo. È una storia bellissima, un’esperienza bellissima, fuori dal tempo”. Queste le parole di uno dei registi più importanti ed influenti del XXI° secolo, ovvero il geniale David Lynch che dopo aver girato quel capolavoro che era Eraserhead – La mente che cancella (1977), con due soldi e continui rinvii, approda alla Brooks Films, la casa di produzione messa in piedi da quel gigante della commedia americana che è Mel Brooks, con una sceneggiatura firmata da Chris De Vore ed Eric Bergren e poi rimaneggiata insieme allo stesso Lynch con la supervisione di Brooks.

Alla sua secondo regia ed alla sua prima esperienza in una vera produzione cinematografica, con un budget ed un casting di spessore, tra cui figurano dei mostri sacri come John Hurt, Anthony Hopkins e Anna Bancroft, per Lynch non fu facile riuscire ad inserirsi nei meccanismi della produzione, in quanto, artista ed artigiano quale è, volle controllare e supervisionare ogni aspetto della produzione e gli errori certo non mancarono, come lo sconforto che ne derivò, soprattutto per il regista. Da qui la storia che mi fa apprezzare ancora di più la persona che è Mel Brooks, il quale intervenne a sostegno di David dandogli tutto il suo completo appoggio.

Da lì a poco Lynch si rivelò per il grande regista che è tutt’oggi, capace di dirigere gli attori e di realizzare grande cinema, tanto che Brooks, alla fine delle riprese, non volle nemmeno visionare la versione approntata alla EMI. Per lui l’unica versione giusta era quella di David. Mel aveva compreso che l’intenzione degli Studios era utilizzare il lavoro di Lynch per poi gettarlo via come fosse carta straccia, ma Mel lo difese a spada tratta.

Ma arrivando a The Elephant Man che forse è il lavoro più classico di Lynch, se così lo vogliamo definire. Con un bianco e nero tanto spettrale quanto ammaliante, la storia di John Merrick viene portata sul grande schermo in un modo eccezionale. Lynch azzecca perfettamente i tempi e le inquadrature. Emblematica la scena in cui vediamo le lacrime sul volto del dottor Treves quando vede per la prima volta “l’uomo elefante”. Con quel primo piano e quel taglio di luce, Lynch coglie perfettamente lo sconforto e la pietas che il personaggio sta provando in quel momento.

Inoltre le ambientazioni e le scenografie sono qualcosa di spettacolare. L’atmosfera linda e scintillante dell’ospedale, con le lampade a gas, i camini in ferro battuto, i pavimenti laccati e le raffinate finiture in legno. Tutti elementi che a Lynch piacevano e che hanno contribuito a fare del film quello che è oggi: un piccolo capolavoro.

Dopodiché gli attori. Un John Hurt con cui Lynch si trovò subito bene a lavorare e che qui da forse una delle sue migliori interpretazioni, seppur truccato pesantemente. Attraverso la modulazione della voce e dello sguardo Hurt riesce a trasmettere delle emozioni fortissime allo spettatore, anche attraverso un semplice movimento del capo o della mano con cui cogliamo la sensibilità e la sofferenza di un uomo distrutto non tanto dalla sua deformità, ma dalla reazione delle persone che lo hanno sempre visto e trattato in relazione ad essa. Da qui la celebre e significativa frase “Le gente ha paura di ciò che non riesce a capire”.

Dopo John Hurt, abbiamo un Anthony Hopkins in formissima, che diede non poche grane al regista, rimanendogli distaccato e abbastanza ostile durante le riprese. Sta di fatto che però qui Hopkins ha forse uno dei ruoli più belli che gli siano mai capitati nel corso della sua lunga e prolifica carriera e che alla fine Lynch è riuscito a dirigerlo, dando spessore ed umanità al suo personaggio.

Concludendo The Elephant Man è uno di quei film che mi porto da sempre nel cuore e mi trovo d’accordo con Lynch nel dire che film del genere dovrebbero uscire ogni quattro anni, perché sono un toccasana per l’anima, ma purtroppo non sempre si riescono a trovare film come questi e non so nemmeno se ad oggi ci potrebbe essere l’interesse a produrre storie come queste.

Detto ciò, un film mostruoso, nel senso positivo, sotto tutti i punti di vista. Un film da vedere e rivedere per capire a fondo il tema centrale, ovvero la relazione tra la deformità e dunque l’imperfezione e l’amor proprio, il quale deriva per lo più da come viviamo e da come ci viviamo che forse è la cosa più importante di tutte.