Myanmar sull’orlo della guerra civile: i militari rimandano il voto e condannano a morte 19 persone

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Quello che sta accadendo in Myanmar rappresenta il peggio dell’essenza umana. Un presa del potere con la violenza, omicidi di innocenti sotto gli occhi di tutto il mondo, l’indifferenza globale al di là delle parole, l’assoluta mancanza di civiltà delle forze armate birmane.

Sono più di 600 le persone morte, da quando l’esercito del generale Zaw Min Tun ha estromesso il governo eletto della leader Suu Kyi, si è preso con la forza la leadership e ha installato una giunta militare.

I morti? Colpa dei “manifestanti ribelli”. Sarebbero queste le frasi shock pronunciate durante una blindatissima intervista della CNN dal generale Zaw Min Tun. Un’intervista dalla quale emergerebbe, panoramica di dinamiche violente e obiettivi di conquista disposti a passare sopra a chiunque.

A preoccupare è poi la posizione dell’esercito sulla questione elezioni. Lo scorso febbraio, a pochi giorni dal colpo di stato, il generale Min Aung Hlaing aveva annunciato lo stato di emergenza per un anno, per aprire la strada a“libere elezioni”. Una contraddizione in termini dopo aver imposto un regime di dittatura militare.

Come ovvio, i militari si sono rimangiati la parola. Per Zaw Min Tun lo stato di emergenza potrebbe essere prorogato per “altri sei mesi o più”, e il voto potrebbe slittare di due anni. Com dire ‘mai’!

Secondo i media di Bangkok, ormai in Myanmar il rischio di una guerra civile è alle porte. Giovedì gli abitanti di Taze, una cittadina nella regione di Sagaing, si sono difesi dagli attacchi dell’esercito con fucili da caccia, machete e molotov. Stessa scena qualche giorno prima nella vicina Kale, dove i militari hanno iniziato a sparare e a lanciare granate contro i manifestanti, che hanno tentato di rispondere con armi rudimentali.

Nel braccio di ferro fra potenze sul caso Myanmar si deve poi registrare la rimozione dall’incarico dell’ambasciatore del Paese asiatico a Londra, Kyaw Zwar Minn. Mercoledì il rappresentante diplomatico è stato lasciato in mezzo alla strada dopo aver chiesto il rilascio della leader birmana Aung San Suu Kyi. In sostanza gli è stato negato il rientro nella sede diplomatica.

Intanto 19 persone sono state condannate a morte, con l’accusa di aver ucciso l’associato di un capitano dell’esercito, il 27 marzo nel distretto di North Okkalapa a Yangon, la città più grande del Paese.