E’ morto il boss Totò Riina, da 24 anni al 41 bis

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E’ morto nella notte Totò Riina, il boss originario di Corleone (Palermo). Malato da tempo, era ricoverato presso il reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Il capomafia, che giovedì aveva compiuto 87 anni, era in coma da diversi giorni dopo due interventi chirurgici. Arrestato dopo 24 anni di latitanza, il 15 gennaio del 1993, Riina era ancora considerato dagli inquirenti il capo indiscusso di Cosa Nostra.
Il boss ha smesso di vivere alle 3,37 e si è portato per sempre nella tomba i suoi segreti, in particolare sul tesoro di famiglia. Trentotto fra conti correnti bancari e postali, dossier titoli e libretti a risparmio, su cui però c’è ben poco, solo una manciata di euro. Davvero una beffa, l’ultima della famiglia Riina.
L’ex latitante stava scontando 26 condanne all’ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del ’92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del ’93, nel Continente. Sua la scelta di lanciare un’offensiva armata contro lo Stato nei primi anni ’90. Mai avuto un cenno di pentimento.
“Ne dovrebbero nascere mille l’anno come Totò Riina”, ripeteva in carcere al suo compagno dell’ora d’aria, il boss pugliese Alberto Lorusso, tre anni fa. E poi si vantava della morte di Giovanni Falcone: “Gli ho fatto fare la fine del tonno”.
 
Riina ha confermato quanto Giovanni Falcone ripeteva da tempo , ovvero che Cosa nostra non prende ordini da forze esterne. Ma qualcuno, nella “famiglia”, ha avuto intense relazioni con uomini della società civile, della politica e delle istituzioni. Relazioni ancora avvolte da tanti misteri.
Si vantava anche dell’omicidio del generale dalla Chiesa: «Quando ho sentito alla televisione, promosso nuovo prefetto di Palermo, distrugge la mafia… prepariamoci gli ho detto, mettiamo tutti i ferramenti a posto, il benvenuto gli dobbiamo dare». Ma in un’altra occasione, Riina precisava che Cosa nostra non c’entra niente con le carte scomparse dalla cassaforte del prefetto.
Lo ribadiva anche per Borsellino. Rivendicava la strage nel corso di quelle ultime intercettazioni, ma teneva a precisare: “I servizi segreti gliel’hanno presa l’agenda rossa”.