Green pass, Viminale: i gestori di bar e ristoranti non sono tenuti a controllare l’identità

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Una circolare del Viminale fa chiarezza dopo le polemiche sul Green Pass obbligatorio per l’ingresso in bar e ristoranti al chiuso. I gestori dei locali avranno sì l’obbligo di controllare il certificato per chi si trova al chiuso ma non gli è dovuto l’accertamento della corrispondenza con l’identità del cliente tranne in caso di “palese difformità o incongruenza” tra la persona e i dati riportati sul certificato verde.

Si specifica così, facendo chiarezza, la norma contenuta nell’articolo 13 del Dpcm del 17 giugno 2021 che affida la verifica dei documenti di identità “a soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi” e al “proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività”.

La norma, conferma lo stesso Garante sulla privacy, autorizza gli esercenti a richiedere il documento di identità, ma nello stesso tempo non obbliga il cliente a mostrarlo. Stesso criterio per concerti, partite di calcio o eventi strutturati, che prevedono la presenza di uno steward.

Il controllo dei documenti, dunque, spetterà alla polizia, che agirà a campione – come anticipato dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese – con la specifica che in caso di Green pass falsi, il gestore del locale non avrà alcuna responsabilità o ammenda, mentre a farne le spese sarà il cliente con una multa che va dai 400 ai 1000 euro.

La sanzione scatterà per entrambi (gestore e cliente) invece se dopo l’accertamento delle forze dell’ordine si riscontrano clienti, seduti al tavolo al chiuso, sprovvisti di certificato che attesti l’avvenuta vaccinazione (prima o seconda dose), o l’essere guariti dal Covid entro i sei mesi o l’esito negativo di un tampone entro le 48 ore.