Marino, la Cassazione assolve l’ex sindaco di Roma. Pd nel mirino

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Finisce un incubo per Ignazio Marino, assolto dalla Cassazione perché “il fatto non sussiste”. Viene annullata così senza rinvio la condanna a due anni di reclusione per la vicenda degli scontrini delle cene di rappresentanza, risalente al periodo in cui Marino era primo cittadino della Capitale. Marino, assolto in primo grado e condannato in appello, era accusato di peculato e falso. Hanno vinto la verità e la giustizia. Era ora – ha detto l’ex sindaco – La sentenza della Cassazione non rimedia ai gravi fatti del 2015, alla cacciata di un sindaco democraticamente eletto e di un’intera giunta impegnati senza fare compromessi per portare la legalità e il cambiamento nella Capitale d’Italia. Una ferita per la democrazia che non si rimargina”.

Il processo ha riguardato il ‘caso scontrini’, un’inchiesta che aveva portato Marino a dimettersi dall’incarico di primo cittadino. L’accusa era di aver pagato con la carta di credito del Campidoglio, tra il 2013 e il 2015, più di 50 cene ad amici e parenti, per un totale di circa 13.000 euro, spacciandole nei giustificativi di spesa come incontri istituzionali. Da qui l’accusa di falso. Nella sentenza d’appello Marino era stato condannato anche a risarcire i danni al Comune di Roma e all’interdizione dai pubblici uffici per la durata della condanna.

Intanto i profili social di Ignazio Marino vengono letteralmente presi d’assalto da attestati di stima e inviti a candidarsi ancora dai suoi sostenitori, decisi a festeggiare la sentenza come una nuova vittoria. “Ti ho sempre creduto”, “non ho mai avuto dubbi su di te e sulla tua onestà”, “ho sempre creduto fossi una persona per bene”, “sarai sempre il mio sindaco”, i commenti più gettonati fra quanti, tuttavia, non perdonano al Partito democratico le ormai famigerate “dimissioni dal notaio”.

E se nel calderone delle accuse finisce “l’intero e vergognoso Pd romano”, a Matteo Renzi si riconosce il ruolo di “mandante”, colpevole di aver “tramato contro un sindaco che voleva liberare Roma dal malaffare” insieme agli allora vertici. Ma per i commentatori sono in ogni caso “tanti i dirigenti del Pd che ti devono le scuse”, rei soprattutto di “non essersi schierati” e di aver “abbandonato” il primo cittadino nel momento più buio “piegandosi al populismo e non alla ragione”.