Fatture false per un miliardo: 29 arresti in tutta Italia. La base era a Vicenza

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Un “colossale e sistematico sistema di frode fiscale” messo in atto con un insieme di “operazioni illegali di ingegneria giuridica”. Così i vertici delle Guardia di Finanza di Vicenza hanno definito l’organizzazione a delinquere transnazionale smascherata con l’operazione “Round Trip”, che ha portato all’arresto di 29 persone che, attraverso un complesso ed articolato insieme di società negli anni scorsi ha evaso oltre 130 milioni di euro all’erario, grazie ad un giro di fatture false di un miliardo di euro. Un sistema criminale colossale, che aveva il suo fulcro proprio a Vicenza.

Dalle prime luci dell’alba, oltre 120 militari del Comando Provinciale di Vicenza della Guardia di Finanza, in collaborazione con numerosi reparti della GdF di altre province e con le polizie di cinque paesi, stanno infatti dando esecuzione a 18 misure di custodia cautelare in carcere e a 11 arresti domiciliari, emessi dal giudice delle indagini preliminari, Massimo Gerace, nei confronti di altrettante persone appartenenti a un’organizzazione criminale che, almeno dal 2009, frodava l’Iva e commetteva reati fallimentari.

L’operazione. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Barbara De Munari, sono state condotte, fin dal 2013, dal Nucleo di Polizia Tributaria di Vicenza. Imponente lo sforzo investigativo, che ha previsto anche l’utilizzo di speciali software d’indagine e ha impegnato decine di militari sia in attività di intercettazione telefonica (quasi 75 mila le conversazioni ascoltate) e telematica, che in perquisizioni e pedinamenti su tutto il territorio nazionale. Imponente anche l’attività di riscontro documentale attraverso verifiche fiscali nei confronti di ben 218 indagati, praticamente tutti di nazionalità italiana (solo un denunciato è straniero, un serbo residente da anni a Vicenza).

180 società coinvolte. Quanto emerge dalle indagini è un complesso intreccio composto da 180 società. 145 di queste sono italiane, in gran parte con sede in Milano e Roma; di queste, 76 erano “cartiere”, 69 “filtri” o ”broker” (15 era filtri a tutti gli effetti, mentre 54 società erano esistenti effettivamente e operative, con tanto di dipendenti e struttura organizzativa). Le 35 società estere coinvolte (in 15 diversi paesi della Comunità Europea: 4 in Austria, 4 a Malta, 4 in Repubblica Ceca, 4 in Slovacchia, 3 in Polonia, 2 in Belgio, 2 in Bulgaria, 2 in Croazia, 2 in Germania, 2 in Romania, 1 Cipro, 1 in Gran Bretagna, 1 in Irlanda, 1 in Lettonia e 1 nei Paesi Bassi) sono invece quelle che i finanziari chiamano  in gergo “conduit” e venivano usate strumentalmente per non  versare all’Erario gli oltre 130 milioni di euro di Iva accertati.

Il sistema del “carosello” e le sue varianti. Le indagini, particolarmente complesse, hanno accertato un giro di fatture per operazioni inesistenti per 930 milioni di euro, relative a svariati prodotti tra i quali certamente maggior peso hanno avuto quelli hi-tech (tablet, supporti digitali e televisori), anche se l’organizzazione ha diversificato la sua “attività” trattando anche altra merce come toner per stampanti e materie prime alimentari come farine, zucchero e latte in polvere.

Il sistema criminale ha apportato ingegnose varianti alla classica frode “carosello”, allo scopo di rendere alle forze dell’ordine più difficoltosa l’individuazione della rete di società utilizzatrici delle fatture false. Nel dettaglio, la merce – che già si trovava nel territorio italiano – veniva ceduta, molto spesso solo cartolarmente, in regime di reverse charge (cioè in sospensione d’imposta), a un’azienda comunitaria, la quale rivendeva (sempre in reverse charge e sempre solo mediante trasferimenti meramente cartolari) alla società “cartiera” italiana. Quest’ultima cedeva ulteriormente la merce (questa volta con Iva e “sottocosto”) a una o più società “filtro”, le quali – infine – la rivendevano al beneficiario finale della frode. Da tale circuito, consegue che la “cartiera” (o “missing trader”), in pochi mesi riusciva a maturare un ingente debito di Iva (quella riscossa nel momento della cessione alle società “filtro”) che però non versava; la sede della società viene, quindi, dapprima trasferita in una grande metropoli (Roma o Milano) e alla fine spostata all’estero dove veniva “rottamata”, lasciando dietro di sé sia un cospicuo debito tributario non più esigibile che l’impossibilità di dichiararne il fallimento.

Le varianti al sistema classico prevedevano l’interposizione di più “conduit”, con sede anche in Paesi differenti, e l’ingegnosa eliminazione della figura della “cartiera”, sostituendola con una società “filtro”: l’azienda italiana che acquistava dalla “conduit” comunitaria neutralizzava il debito Iva con un articolato intreccio di operazioni (questa volta oggettivamente inesistenti) con altre due società (entrambe “cartiere”) che si ponevano al di fuori del circuito proprio della frode carosello e, perciò, non immediatamente riconducibile ad essa.

Gli arrestati. Sul territorio nazionale, le operazioni di esecuzione delle misure cautelari si stanno svolgendo, oltre che nella provincia di Vicenza (dove risiedono i principali artefici della frode e dove la banda si riuniva per assumere le decisioni più importanti, fra cui la spartizione dei proventi dell’evasione), anche nelle province di Catania, Cremona, Ragusa, Roma, Bergamo, Cosenza, Brindisi, Biella, Milano, Napoli, Pescara, Varese, Udine, Alessandria, Parma, Verona e Treviso. È inoltre da anni strettissima la collaborazione con la Polizia Cantonale del Ticino, che sta eseguendo la misura nei confronti di uno degli organizzatori delle frodi: un italiano di Chieti stabilmente residente in Svizzera. Sono state attivate anche le autorità slovene, croate, britanniche e statunitensi perché provvedano al rintraccio e all’arresto di cittadini italiani, coinvolti a vario titolo nell’organizzazione criminale, che da tempo risiedono in quei Paesi.

Otto complessivamente i vicentini arrestati, due dei quali erano ai vertici della colossale truffa: Paolo Majan, 62 anni di Torri di Quartesolo e Massimo Cattelan, 51 anni di Nanto. Gli altri sei arrestati in terra berica sono Roberto Cattelan, 48 anni di Nanto (fratello di Massimo); Giuseppe Carlesso, 45 anni, di Rosà; Emanuele Gobbo, 42 anni di Bassano del Grappa; Nikola Strainovic, 27 anni di origini serba ma da anni residente a Vicenza; Flavio Panato, 51 anni di Altavilla Vicentina; Giovanni Marcante, 48 anni di Altavilla Vicentina.