Spettacolando – Vicenza Opera Festival, la città risuona con Mozart nel segno del Palladio

Con l’ottava edizione di Opera Festival, Vicenza ha vissuto una settimana da capitale europea e un bel pezzo di merito è della Società del Quartetto di Vicenza. E’ giusto iniziare con un grazie verso chi da anni lavora con serietà, impegno e competenza, senza prendersi mai le luci della ribalta.
La manifestazione era attesissima e gli spettacoli al Teatro Olimpico, cuore pulsante dell’evento, erano sold out da mesi. Faceva anche un certo effetto, a teatro, sentir parlare più inglese e francese che dialetto vicentino: effetti collaterali inebrianti della combinata di mostri sacri come Don Giovanni, Mozart e Budapest Festival Orchestra.
Il festival ha ruotato interamente attorno a un titolo immortale: “Don Giovanni” di Wolfgang Amadeus Mozart, opera che ha inaugurato una trilogia mozartiana curata dal direttore ungherese. Iván Fischer, insieme alla sua straordinaria Budapest Festival Orchestra, ha scelto di concentrarsi su un solo capolavoro, per approfondirne ogni sfumatura e restituirne la forza teatrale e umana. Nel 2026 seguirà Il flauto magico e nel 2027 Le nozze di Figaro, completando un percorso dedicato al genio salisburghese.
Nel ruolo del seduttore più celebre della storia dell’opera troviamo Andrè Schuen, baritono di spessore e presenza magnetica. Al suo fianco Luca Pisaroni nei panni di Leporello, Miah Persson come Donna Elvira e Giulia Semenzato nel ruolo di Zerlina, con la direzione di Fischer a cucire insieme voci, orchestra e teatro in un intreccio di precisione e passione.
Un cast internazionale ma profondamente legato all’Italia: Schuen e Pisaroni, infatti, hanno entrambi origini altoatesine e parlano perfettamente la nostra lingua, il che dona ulteriore naturalezza ai recitativi e ai dialoghi. Il resto lo fa Fischer che il Teatro Olimpico lo conosce bene, e proprio per questo ha scelto di costruire la regia di Don Giovanni in dialogo continuo con lo spazio. Le scenografie, ridotte all’essenziale, lasciano che siano la luce, la prospettiva e la musica a disegnare l’azione. Il risultato è un equilibrio perfetto tra la forza drammatica di Mozart e la spiritualità rinascimentale del luogo.
Il concerto sinfonico che si intrufola tra le tre serate del Don Giovanni è estasi allo stato puro, con Bach – suite-overture n.4 – , Fischer – dance Suite in Memory di Bach e la sinfonia n. 7 di Beethoven. Una serata così, per citare la celebre rivista “Cuore”, rientrerebbe di merito tra i dieci motivi per cui vale la pena vivere.
Lo spirito del festival però è stato di non lasciare musica e bellezza chiusi dentro le mura di un teatro. Come nelle passate edizioni, Vicenza è diventata un’unica, grande scena urbana, come con la “Walking Mozart”, un percorso audiovisivo lungo Corso Palladio e le piazze principali, dove l’opera è stata trasmessa in diretta su grandi schermi, accompagnata da performance dal vivo. Un modo nuovo per avvicinare i cittadini all’opera, rendendo Mozart parte della vita quotidiana.
In un certo senso i momenti più emozionanti sono stati quelli dei concerti della European Orchestra Academy, che hanno portato giovani musicisti a esibirsi nelle vie del centro e in luoghi magici come la foresteria di Villa Valmarana, Palazzo Chiericati e Gallerie D’Italia. Ma anche in scuole, Istituti come il Salvi o la casa Circondariale e Filippo del Papa. C’erano cinque enseble, con cinque programmi diversi che si alternavano e sprigionavano magia allo stato puro riposizionando la musica classica dove merita di essere. Ovvero ovunque. Perché la meraviglia non è e non può essere appannaggio di un’ élite, ma deve rispettare i principi della democrazia. Si merita l’eccellenza della musica classica il professionista che ha studiato tanto e vive nella sua villa in collina come chi è chi ha sbagliato (o è stato solo più sfortunato), e sconta la sua pena privato della libertà. Si meritano le migliori sinfonie i malati e quelli che temono che la musica classica sia roba per quelli ricchi che hanno studiato. Non sappiamo se “La bellezza salverà il mondo”, come diceva Dostoevskij, ma che male può fare provarci?
Paolo Tedeschi
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