Meccanica vicentina, giù produzione e fatturato. Dalla Vecchia: “E’ un circolo vizioso”

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L’industria non ha più tempo per sottostare ai tatticismi della politica. Sembra essere questo il messaggio che arriva dai dati della produzione meccanica vicentina resi noti oggi da Confindustria: tutti col segno meno.

Sulla base infatti delle rilevazioni congiunturali condotte da Confindustria Vicenza, nel primo trimestre 2019 le aziende vicentine del settore metalmeccanico, che nel trimestre precedente avevano rallentano il proprio passo di crescita mantenendo comunque un indice positivo (+0,63) per la produzione industriale, con l’inizio del nuovo anno sono virate decisamente in zona negativa, facendo segnare un -1,8% rispetto al medesimo periodo del 2018. Un dato che, al pari di quanto successo per il complesso delle industrie di Vicenza, vede un contemporaneo decrescere degli indici riguardanti il fatturato interno, -3,08%, e dell’export extra UE, -4,69%. Tiene invece il mercato europeo che però risulta stagnante rispetto al primo trimestre 2018: +0,35%.

I dati negativi di questo trimestre non si sono, ad oggi, riflessi sul dato occupazionale che cresce di pochi decimali, +0,62%. A guardare gli ordini, poi, il 22% delle aziende rilevano un carico lavoro assicurato per meno di un mese, il 55% per un periodo compreso tra uno e tre mesi mentre il 23% per un periodo superiore a tre mesi.

“Questi dati – spiega Laura Dalla Vecchia, presidente della sezione Meccanica Metallurgica ed Elettronica di Confindustria Vicenza – purtroppo, non arrivano inattesi. In primis perché il dato a cui si fa riferimento, quello del primo trimestre 2018, era particolarmente positivo e seguiva ad un paio d’anni anch’essi molto buoni, quindi un rimbalzo verso il basso era preventivabile. Certo, passare da un rimbalzo negativo a un -4% sull’export extra-UE non può considerarsi normale”.

“Sappiamo – prosegue Dalla Vecchia – che l’automotive, che traina molta della nostra industria, è in forte difficoltà, sia da un punto di vista strutturale che per via dei dazi. A questo ambito particolare si aggiunge un’incertezza generale, in primis a livello internazionale, che vede una disfida, per noi gravosa, tra Stati Uniti e Cina che si è accentuata nelle ultime settimane, poi c’è la frenata della produzione in Germania e le incognite sulla conclusione della Brexit. Nondimeno, c’è anche una questione nazionale visto che da una parte nel nostro Paese ancora non si capisce quale sia la direzione della politica industriale del governo, dall’altra l’alto debito ci espone a rischi maggiori in situazioni, come quella attuale, in cui le condizioni esterne si deteriorano. Tutto questo, oltre ad alimentare incertezza e aumento degli interessi sul nostro debito (+4,5 miliardi solo nella prima parte del 2019), blocca investimenti e ordinativi. Un circolo vizioso che si ripercuote sulle nostre aziende”.

Per gli industriali vicentini, che contano per ben il 42% delle proprie aziende proprio realtà della meccanica, metallurgica ed elettronica, risulta quindi necessario che il Sistema Paese affronti punto per punto queste criticità mettendo assieme le forze locali e nazionali sia a livello istituzionale che privato.

“Il nostro tessuto industriale – afferma Dalla Vecchia – è per la stragrande maggioranza composto da piccole-medie imprese che svolgono un ruolo chiave nelle filiere del valore e ha bisogno che si faccia squadra a tutti i livelli. Le istituzioni locali e nazionali, attraverso il confronto con le imprese, possono giocare un ruolo importante per il rilancio ma devono operare in maniera coordinata e coerente per sostenere gli investimenti privati produttivi in tecnologia e innovazione e gli investimenti pubblici in infrastrutture. E poi c’è il sempreverde tema della competitività e delle competenze. Serve quindi sia abbattere la burocrazia che secondo il World Economic Forum è al primo posto tra i fattori problematici per fare impresa in Italia; sia creare sistemi educativi che consentano di rispondere ai fabbisogni delle imprese di oggi e di domani. In questo senso, contrariamente a quanto perseguito con il decreto dignità, è necessario avere un mercato del lavoro flessibile (in entrata e in uscita) per consentire alle aziende di adattarsi ai cambiamenti globali”.