Regionali in Veneto, l’abbraccio mortale tra Lega e FdI spegne i sogni di autonomia


di Anna Bianchini
A pochissimi mesi dalle elezioni regionali in Veneto ancora non c’è un candidato ufficiale per la coalizione di governo, tra accordi in bilico e braccia di ferro alla vigilia delle vacanze. Quel che è peggio è che non ci sono programmi elettorali, ma questo sembra lasciare indifferenti tutti, perfino gli elettori, costretti ad accontentarsi di banali slogan sulla sicurezza e sulla sanità. L’incertezza è totale sotto la bandiera del leone, l’unica cosa sicura è che di autonomia non se ne parlerà mai più.
A 8 anni da un referendum che ha registrato il 57,2% dei votati alle urne venete con una eclatante vittoria del sì (98,1%), dopo un anno e 5 mesi di Lega al governo con il Movimento 5 Stelle e 3 anni di Lega al governo (in carica) con Giorgia Meloni, le speranze dei veneti autonomisti si spegneranno definitivamente, sempre alle urne, con la prossima tornata regionale. Finisce l’era Zaia e con il quasi certo approdo a Roma del Doge, ai veneti non resterà che scegliere se votare tra la Lega Salviniana e statalista, i Fratelli d’Italia (nome omen), quella Forza Italia il cui segretario Antonio Tajani ha più volte invocato la centralità del Parlamento o quel PD la cui leader Elly Schlein ha ribadito sonoramente il suo “no” all’autonomia. L’autonomia differenziata, che era stata scelta dai veneti alle urne, da quegli stessi veneti alle urne verrà definitivamente accantonata.
Eppure uno spiraglio di ottimismo per i leghisti-autonomisti si era aperto. La speranza era arrivata dall’autocandidatura a ‘Doge’ di Roberto Marcato, da 10 anni assessore veneto di Luca Zaia, in contrasto con la Lega di Salvini tanto da dire “Salvini è sempre più sovranista, con il federalismo della Lega non c’entra nulla”. Candidatura a cui, per mere questioni di tempo, ha fatto seguito la “minaccia”, o boutade sarebbe più onesto dire, a Roma di Luca Zaia di fare una lista tutta sua che avrebbe potuto fruttare un 40-45% di voti, mettendo di fatto in difficoltà Fratelli d’Italia, che in Veneto vorrebbe finalmente piantare la sua bandiera.
In seno alla Lega dura e pura però erano stati in pochi a crederci. “Le rivoluzioni non si fanno a luglio e agosto e Zaia non è mai stato un cuor di leone” dice uno storico membro del partito a cui riserviamo l’anonimato. “Gli onorevoli e i leader della Lega di oggi sono dalla parte di Salvini perché con lui hanno la poltrona garantita. Correre con Marcato e con la lista Zaia significherebbe rinunciare al simbolo. I leghisti di oggi non sono disposti a perdere la poltrona e i loro stipendi, guardano i loro interessi personali. Il tempo delle rivoluzioni è finito”.
Alla boutade di Zaia è seguita veloce la risposta di Salvini che non intende far vacillare la coalizione di governo a Roma in quanto il Carroccio si trova in una posizione troppo debole rispetto al partito di Giorgia Meloni. Promuovere per rimuovere in ambito aziendale è la migliore soluzione per fare uscire di scena i dirigenti scomodi nascondendo la polvere dei dissidi sotto il tappeto. Ed è quello che pare voglia fare Matteo Salvini con Luca Zaia che del Presidentissimo veneto, con accorata stima e avvalorando l’ipotesi di un ministero, ha detto “Lui potrebbe fare qualsiasi cosa, lo vedrei bene anche con un ruolo nel Governo nazionale”.
Autonomia addio. E il nuovo governo del Veneto nascerà azzoppato.
In seno alla Lega in Veneto l’accordo tra Fdi e il Carroccio in vista delle elezioni regionali è considerato “un abbraccio mortale”. Se da un lato gli elettori fedeli (e ingenui) auspicano un accordo per non rischiare di perdere la Regione, gli addetti ai lavori sanno bene che qualsiasi accordo prevede stampelle per il sostegno e rospi da digerire. “E per la Lega sarà la fine: Lega + Meloni significa inquadrare il Carroccio nell’estrema destra, significa rendere impossibile ogni altra alleanza che non sia Fratelli d’Italia. La fine insomma, definitiva”. A destra in Veneto il futuro è facilmente prevedibile: un presidente leghista di facciata, con assessori di FdI che di fatto governano, o un presidente di FdI. Più probabile la prima, in quanto FdI, con l’uscita di scena di Elena Donazzan, che probabilmente avendo fiutato le incertezze in casa è volata a Bruxelles, non ha volti di primo piano.