Mascherine irregolari dalla Cina: 118 mila pezzi sequestrati. Zaia: “Prodotti non sicuri e sleali”

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Due finanzieri mettono i sigilli agli scatoloni sotto sequestro

Un vizio di forma che non ne pregiudicava l’utilizzazione, ma comunque lo stock di migliaia di mascherine monouso di protezione delle vie respiratorie non soddisfaceva tutte le regola di importazione dalla Cina, rendendolo invendibile. Ad affermarlo sono i finanzieri inviati dalla Compagnia di Schio in un magazzino locale, dove decine di scatoloni sono stati “chiusi” con i sigilli della GdF nei giorni scorsi.

Al termine del controllo è stato disposto il sequestro amministrativo del quantitativo di 118 mila pezzi – del tipo “chirurgico” usa e getta – per un valore all’ingrosso approssimativo di circa ventimila euro. La violazione al codice del consumo riscontrata nell’occasione consiste nell’assenza delle previste istruzioni in lingua italiana nelle confezioni in vendita, una condizione necessaria per la messa in commercio.

Le Fiamme Gialle di Schio sono intervenute nell’ambito di un’indagine di respiro nazionale, dopo gli approfondimenti operati in seno a una grande società di capitali con sede a Roma e ramificazioni in Veneto. Il fatto che scatole di cartone e confezioni in cartoncino con all’interno i dpi monouso riportassero solo scritte in idioma cinese va contro alle norme vigenti, per vizio di forma, rendendo necessario l’immediato ritiro dal commercio in Italia, a tutela della sicurezza dei consumatori.

Va ricordato in questo settore che nel 2020, in quella che fu la prima fase dell’emergenza epidemiologica di coronavirus, una circolare del Ministero della Salute aveva consentito la commercializzazione dei prodotti anche in deroga al citato obbligo normativo, purché le indicazioni sull’etichetta e sulla confezione fossero di in lingua di un altro stato dell’Unione Europea. Anche questa circostanza, alla luce del sequestro recente da parte dei militari vicentini, non è stata rispettata.

Una confezione di mascherine irregolare

Per la società di importazione che ha violato il codice commettendo un illecito e, questione non secondaria, abbattendo sensibilmente i costi di produzione turbando il libero mercato, è prevista una sanzione che può arrivare a 25.823 euro, da un minimo di 516. Toccherà al Tribunale di Roma occuparsi dei trasgressori. Il fatto ha destato l’interesse anche di Luca Zaia: “operazioni come questa dimostrano come lo stato di attenzione non viene meno e l’attività di controllo è massima, per ribadire che non può esserci spazio per chi non rispetta le regole. E’ tempo di dire basta a prodotti contraffatti che nuocciono ai commercianti onesti e mettere in pericolo la salute dei consumatori, spesso attirato da prezzi troppo bassi e prodotti non sicuri. L’operazione dimostra che non è giunto il momento di abbassare la guardia, ma al tempo stesso invito anche tutti i cittadini a prestare sempre più attenzione a cosa acquistano negli scaffali dei negozi, leggendo attentamente provenienza e istruzioni. Loro rappresentano, infatti, il migliore cane da guardia per frenare questo fenomeno che produce solamente concorrenza sleale”.