I sindaci che gestiscono l’accoglienza nell’Alto Vicentino: “Governo incapace di gestire l’immigrazione”

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Foto Facebook SOS-Humanity

I Comuni che si occupano nell’Alto Vicentino dell’accoglienza e dell’integrazione delle persone migranti non ci stanno e si scagliano contro il decreto cosiddetto “Cutro” del Governo Meloni, alzando critiche circostanziate e precise, da addetti ai lavori che con la competenza e l’esperienza di chi si occupa di questi temi da molti anni sa quale è la vita per favorire un’integrazione seria e in sicurezza di chi arriva da altri paesi in cerca di un futuro migliore, per fuggire da violenze, guerre, povertà e anche dalle catastrofi naturali provocate dalla crisi climatica.

Al centro delle critiche, mosse dai sindaci di Santorso, Valdagno e Marano Vicentino, c’è da un lato, la scelta del governo Meloni di dichiarare lo stato di emergenza per gli arrivi nel nostro Paese, aumentati negli ultimi mesi, dall’altra le modalità di gestione dei permessi di soggiorno. “La gestione dei flussi migratori – scrivono infatti in una nota i primi cittadini di Santorso Franco Balzi, Valdagno Giancarlo Acerbi e Marano Vicentino Marco Guzzonato – in Italia ha purtroppo sempre avuto finora un carattere emergenziale, senza mai pervenire ad una risposta strutturata, come da lungo tempo da noi sollecitato. L’introduzione dello stato di emergenza e la nomina di un commissario delegato rappresenta una ulteriore dimostrazione di questa incapacità a gestire in modo responsabile e lungimirante il fenomeno”.

“Se da una parte lo stato di emergenza – proseguono i tre sindaci, titolari di altrettanti i progetti SAI Sistema di accoglienza e integrazione può facilitare procedure legate al trasferimento delle persone sbarcate al sud e agli affidamenti dei servizi di accoglienza (con tutti i rischi che questo può comportare in relazione alle competenze degli enti gestori) dall’altra si aprono prospettive assolutamente allarmanti. La proposta di legge che sarà discussa a breve al Senato ci preoccupa, come sindaci, anche rispetto alle proposte di modifica legate alle categorie di persone che potranno essere accolte nei progetti Sai, stabilizzando ulteriormente il sistema binario di accoglienza attuale e introducendo ulteriori percorsi non condivisibili”.

Il Sistema di Accoglienza e Integrazione (noto con l’acronimo Sai) ha sostituto dal 2020 i vecchi Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e Sipromi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), sulla scorta di un’esperienza di accoglienza diffusa, fatta in piccoli numeri e sotto la supervisione dei Comuni, avviata fin dal 2001, affida la gestione agli enti locali. Questi, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. I tre enti locali dell’Alto Vicentino, nel dettaglio, hanno attivato ad oggi un totale di 159 posti, dei quali 89 a Santorso, 46 a Valdagno e 24 a Marano (in partenza), all’interno di una rete che in tutta Italia coinvolge 793 enti locali per un totale di quasi 44 mila posti, dei quali solo 888 in Veneto.

“Se quello dei Centri di Accoglienza Straordinaria (Cas) doveva essere una soluzione emergenziale per sopperire alla temporanea assenza di posti nei progetti Sai, così non è mai stato – denunciano Balzi, Acerbi e Guzzonato -. L’attuale proposta, che introduce lo strumento degli hotspot in ogni regione, a dispetto del solo apparente dichiarato investimento sull’accoglienza diffusa da parte del Governo, ancora una volta come avevamo visto nel 2018 mira a svuotare di senso l’accoglienza diffusa e integrata, riservando al Sai una funzione ancora più residuale, limitata all’accoglienza dei titolari di protezione. Se non si lavora per un rafforzamento del Sai, il sistema ordinario di accoglienza diffusa di cui sono responsabili i Comuni, si rischia di rivedere lo stesso film già visto in passato: grandi numeri di persone concentrate in strutture che non rispettano né le persone accolte, né i territori in cui insistono. O peggio ancora qualche tendopoli, in veste di hotspot regionalizzato”.

“Lo diciamo con fermezza: non si può separare l’accoglienza dall’integrazione – prosegue la nota dei tre primi cittadini – e non si può fare integrazione senza coinvolgere i Comuni e i sindaci che amministrano e tutelano i territori. Esprimiamo infine analoga preoccupazione riguardo la proposta di riduzione o addirittura di eliminazione della protezione speciale, attribuita attualmente a coloro che dimostrano di avere forti legami familiari in Italia o di essersi integrati. Come per l’eliminazione della protezione umanitaria in passato, il rischio è quello di trovarsi persone che potrebbero diventare irregolari, con tutti i rischi conseguenti che è facile immaginare. L’auspicio è che il governo tenga nella dovuta considerazione le preoccupazioni dei sindaci e valorizzi la loro funzione di tutela e salvaguardia delle comunità locali”.