Accoglienza migranti, coop e Diocesi si sfilano: “Zero integrazione col nuovo bando”

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Attività lavorative in fattoria (cooperativa sociale Verlata, Breganze)

Nuovo bando della Prefettura per l’affidamento del servizio di accoglienza temporanea dei richiedenti asilo in provincia di Vicenza. Quello precedente, indetto a giugno e scaduto il 18 luglio scorso, non ha avuto offerte sufficienti per coprire tutti i posti necessari. A fronte di una esigenza complessiva di 1.330 posti, la risposta delle  organizzazioni impegnate nell’accoglienza si è fermata infatti a 604 (537 nell’accoglienza in singole unità abitative, con 11 le offerte presentate, e 67 nei centri collettivi con un massimo di 50 posti, con una sola offerta presentata; a vuoto invece il bando per strutture collettive con più di 50 posti).

Si sono più che dimezzate le presenze di richiedenti asilo nel Vicentino rispetto al 2018: il bando dell’ottobre scorso chiedeva infatti una disponibilità per 2300 persone, mentre attualmente i profughi accolti nelle strutture presenti in provincia sono invece un migliaio. Il nuovo bando, che mira a trovare una soluzione per i posti ancora scoperti, è la fotocopia di quello precedente e, in linea con l’impianto normativa voluto dall’uscente Ministro dell’Interno Matteo Salvini, prevede un abbattimento del 40% delle risorse giornaliere messe a disposizione delle organizzazioni che accolgono, fatto che ha indotto un gruppo di cooperative sociali vicentine, da decenni radicate nel territorio, e la Caritas diocesana a disertare la gara.

La rinuncia delle coop

Otto cooperative sociali vicentine, impegnate da sempre nei servizi dedicati a disabilità e diversi tipo di fragilità, così come nell’inserimento lavorativo di fasce deboli della popolazione, hanno motivato dettagliatamente la scelta di non partecipare al bando. Sono realtà che già accoglievano (alcune anche da più di dieci anni) in modalità di accoglienza diffusa, in piccoli gruppi, che si è rivelata vincente sia in termini di integrazione sociale e lavorativa, sia di sicurezza per i cittadini. Si tratta delle cooperative Cosmo, FaiBerica, Idea Nostra e Tangram di Vicenza, Entropia di Schio, Faggio di Asiago, La Goccia di Marostica e Verlata di Villaverla. Il loro “no”, reso pubblico con un comunicato stampa, è una denuncia molto chiara e non ne fa una questione economica: i nuovi criteri “rendono impossibile qualsiasi percorso di inclusione sociale ed eliminano tutte le attività di integrazione”. Quelle stesse attività che dal 2015 ad oggi avevano contraddistinto l’operato di queste cooperative nei confronti dei 484 richiedenti asilo: lezioni di italiano e della scuola di primo e secondo grado (a cui ha partecipato il 96% degli ospiti), tirocini formativi (68%), attività di socializzazione (51%), volontariato (77%) ed eventi di sensibilizzazione sul territorio (45). Tutte iniziative non previste dal nuovo capitolato, “che impone invece un semplice servizio di fornitura di pasti e posti letto“, col rischio che le persone che usciranno dai nuovi percorsi “si riversino nei territori e vadano a pesare sulle comunità di cittadini, potenziando diverse forme di emarginazione sociale e sfruttamento lavorativo, con possibile sviluppo di sacche di micro-criminalità”. “Se si vuole davvero risparmiare – concludono le cooperative – si accelerino le procedure burocratiche, che oggi protraggono le accoglienze anche fino a 4-5 anni”.

La Diocesi punta sulla seconda accoglienza

Dello stesso tenore la presa di posizione della Diocesi, che pure non ha partecipato al bando e non è intenzionata a rispondere alla seconda chiamata del Prefetto. “Non è più il tempo della prima accoglienza, ma di attivarsi in favore dell’integrazione e dell’inserimento lavorativo dei titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari che rischiano a breve di trovarsi in condizioni di irregolarità e di povertà assoluta” spiega la Diocesi in un appello “a chi ha responsabilità di governo e di gestione della vita pubblica”. Dal 2015 attraverso la onlus Diokonia della Caritas ha messo a disposizione appartamenti per micro accoglienze (4-5 persone al massimo): 50 i richiedenti asilo accolti, 15 le parrocchie e 5 le famiglie coinvolte, con 200 volontari e un forte impegno per l’inclusione sociale e lavorativa.

“Ora invece – spiega la Diocesi – i bandi prevedono di fornire solo risposte ai bisogni primari di vitto e alloggio e le attività di inclusione sono considerate un optional”, mentre si fa sempre più forte una nuova emergenza: ai servizi Caritas per i senza dimora sono infatti sempre più numerose le persone titolari di permesso di soggiorno uscite dai centri di accoglienza ma in povertà assoluta. Un fenomeno destinato a crescere, visto che con il Decreto Salvini “tutte le persone che non avranno un contratto di lavoro entri i termini di scadenza del permesso di soggiorno umanitario diverranno automaticamente irregolari”. In Italia od oggi sono infatti, afferma la Diocesi, “140 mila le persone che rischiano di trovarsi in una condizione di irregolarità che li esporrà al rischio di povertà estrema e marginalità, nonché di cadere nelle mani della criminalità organizzata pur di sopravvivere”. Per questo l’impegno futuro del mondo cattolico si concentrerà nel favorire comunità accoglienti, promuovere corridoi umanitari, seconde accoglienze e attività di segretariato sociale e inclusione lavorativa. Con un appello alle comunità cristiane ad avviare o proseguire esperienze di accoglienza diffusa.

L’incontro in Prefettura

Poco prima di Ferragosto il Prefetto di Vicenza Pietro Signoriello (in carica solo dal 1 di aprile di quest’anno) ha provato a convocare a contrà Gazzole proprio le realtà che, impegnate nell’accoglienza, hanno dato forfait nell’ultimo bando. Un incontro – è emerso da indiscrezioni – che ha evidenziato da un lato la competenza del Prefetto sul tema migranti e che dall’altra ha visto lo stesso funzionario andare in pressing pesante  sugli enti per indurli ad aderire. Una “moral suasion” che però non ha sortito alcun effetto.

Il nuovo bando

L’annuncio – da parte della Prefettura – dei nuovi bandi è dello scorso 19 agosto: la durata è di due anni e prevede un fabbisogno di 600 unità, esclusi coloro che già sono ospitati presso strutture temporanee. Si tratta di un conteggio che, come indica la determina della Prefettura, tiene conto della relazione del Ministero dello scorso 5 luglio, che prevede una “redistribuzione territoriale di n. 2000 richiedenti protezione internazionale provenienti dal costante flusso migratorio che interessa la frontiera terrestre della regione Friuli – Venezia Giulia“. Come dire: mentre siete tutti concentrati sul Mediterraneo, c’è un problema da affrontare negli arrivi da est.

I bandi sono tre a seconda della tipologia delle strutture e l’aggiudicazione avverrà in base all’offerta economicamente più vantaggiosa. 300 posti sono previsti presso singoli unità abitativa, 200 in entri collettivi con capacità massima di 50 posti e 100 presso centri collettivi con una capienza fra 51 e 300 posti. Nel primo caso l’importo a base di gara è di 21,35 euro pro capite al giorno, per un appalto totale da 684 mila euro; nel secondo di 26,35 euro (per un importo complessivo di 853 mila euro); nel terzo la base di gara pro-capite giornaliera è di 25,25 euro, per un importo di 846 mila euro. La scadenza per la presentazione di tutte le offerte è fissata per le ore 13 del 30 settembre prossimo. Le accoglienze entro e oltre i 50 posti verranno attivate solo nell’ipotesi in cui le offerte in unità abitative non fossero sufficienti a coprire il fabbisogno.

I motivi di questo sistema di accoglienza

L’impossibilità di arrivare in Italia a norma di legge (la Bossi-Fini prevede quote di ingresso da anni sostanzialmente inesistenti) ha portato, a partire dal 2011 (l’anno delle fughe legate alle cosiddette “Primavere Arabe”) allo svilupparsi di un forte canale di arrivo attraverso il Mediterraneo, senza titoli di ingresso nel nostro paese che non siano quelli legati alla richiesta di permesso per motivi umanitari: in buona sostanza, chi arriva (non solo via mare ma anche via terra) viene automaticamente convogliato dal “sistema” (messo in piedi fin da allora dai vari governi che si sono susseguiti, non escluso l’ultimo) verso la richiesta di asilo in quanto rifugiato (in fuga da guerre e persecuzioni, come previsto dalle convenzioni internazionali) o di protezione umanitaria o sussidiaria, che prevede i centri di accoglienza straordinaria (Cas) in attesa che lo Stato decida sull’accoglienza o il rifiuto della su richiesta. Un sistema che da un lato consente di monitorare le persone così giunte nel nostro paese (comprese quella maggioranza che non considera l’Italia una nazione di arrivo ma solo di transito) e dall’altro inserisce però nel sistema dell’accoglienza anche i cosiddetti migranti economici, che hanno lasciato il loro paese (e magari sono stati schiavizzati o reclusi in centri in Libia) con il solo obiettivo di cercare un lavoro e un futuro migliore e che come unica via per rimanere regolarmente in Italia possono contare solo sulla concessione del permesso sussidiario o per motivi umanitari. Da qui il motivo che porta al diniego di una parte consistente delle domande.