Sei vittime e 18 infettati: si allarga il caso del batterio killer in sala operatoria

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Sono sei i casi sospetti di morte a causa del batterio killer che ha provocato il decesso anche dell’anestesista dell’ospedale San Bortolo di Vicenza Paolo Demo, 66 anni, morto il 2 novembre scorso. La Procura di Vicenza ha aperto un’inchiesta, a cui si aggiunge quella degli ispettori inviati dalla Regione. Quattro decessi sono avvenuti a Vicenza (compreso quello del medico), uno a Padova e uno a Treviso: secondo quanto afferma l’Ansa, l’attività degli ispettori è ancora in corso e la loro relazione sarà depositata entro alcuni giorni. Si stanno incrociando i dati dei pazienti deceduti con quelle di altri casi analoghi di utilizzo dello stesso apparecchio per la circolazione extracorporea.

Alla base dell’infezione ci sarebbe il batterio Mycobacterium Chimaera, che aveva infettato Demo in sala operatoria nel gennaio 2016 nel corso di un intervento per la sostituzione di una valvola cardiaca. In Procura a Vicenza è stato depositato pochi giorni va, insieme con l’esposto dall’avvocato della famiglia di Paolo Demo, anche il diario che il medico, venuto a conoscenza di essere infettato del batterio-killer, aveva tenuto costantemente.

In tutto ad oggi sarebbero 18 persone infettate in Veneto: tutti pazienti trattati con lo stesso macchinario durante un’operazione al cuore. Gli ispettori stanno passando a setaccio tutti i reparti di cardiochirugia attivi in Veneto: le due Aziende ospedaliere di Verona e Padova, l’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, l’ospedale dell’Angelo di Mestre e il San Bortolo di Vicenza.

L’azienda produttrice sostiene di aver avvertito i propri clienti, tanto che la Regione Veneto aveva diramato a maggio delle linee guida nazionali sulla disinfestazione degli apparecchi. Sulla sicurezza del macchinario, venduto in tutto il mondo, era scattato un alert ancora nel 2011 e l’azienda produttrice nel 2015 ne aveva raccomandato con una nota la sterilizzazione. Nel settembre scorso lo stesso Ministero della Salute aveva chiesto a tutte le Regioni di verificare e individuare quali e quanti fossero i pazienti infattati negli ultimi nove anni.

Come racconta il Corriere del Veneto, a ottobre la Regione ha istituito un gruppo di lavoro, composto da esperti di malattie infettive, cardiochirurgia, rischio clinico e microbiologia per elaborare le prime linee guida al fine di prevenire l’infezione tramite il dispositivo (che sarebbe infetto ancora dall’origine in fabbrica). Riecheggia quindi la domanda: dove si è inceppato allora il meccanismo che doveva garantire la sicurezza di pazienti sottoposti ad operazioni al cuore?

Sulla vicenda il Partito Democratico ha presentato in Consiglio Regionale un’interrogazione urgente, chiedendo quali misure la Regione intenda adottare per evitare ulteriori contagi.