Spettacolando – Zucchero conquista il cuore dell’Arena, ogni replica è come fosse la prima volta

Domenica 28 settembre Verona ha indossato nuovamente i suoni del blues: solo all’Arena siamo a nove date, senza contare Ancona, Bari, Torino, Roma e Padova. E non è finita. Se non è “un’overdose d’amore” questa, cosa lo può essere?

Lo ribadisce chiaramente Zucchero, quando a metà concerto si prende un po’ di tempo (per lui solo) da dedicare a tutti noi. Non è egocentrismo ma suo modo per dire un “grazie” sincero, in modo intimo: questo tour è per voi, è il modo che ho pensato per restituire tutto ciò che ho ricevuto.

Certo, ci sono tante star che hanno organizzato tour di fine carriera per far cassa, spacciando una scelta economica per un gesto amore ma pochi hanno la credibilità e la schietta sincerità di Zucchero: quindi ci siamo presi l’abbraccio e gli abbiamo dedicato un lungo applauso. Poco, dopo, in una pausa, un ragazzo poco più che trentenne (un fan abbastanza giovane per Zucchero) mi ha confessato di essere al quinto concerto del tour 2025: colpa della madre che gliel’ha fatto amare sin da bambino, trasmettendogli la passione. “Al di là della sua musica, mi piace perché è ruvido e spontaneo in un mondo finto“. Ecco una prova vivente che la verità paga ancora.

L’Arena è piena e l’atmosfera che accoglie Zucchero con un boato è quella della febbrile attesa, non delle repliche. Si parte con “Spirito nel buio” e “Soul Mama”,  passando a momenti più introspettivi come “Diamante, “Partigiano Reggiano” e “Vedo nero.  Le sue interpretazioni strappano sorrisi amari e applausi, perché forse ora più del tempo in cui le ha scritte, cogliamo il senso profondo e premonitore delle sue parole. In tempi di pace Zucchero raccontava un mondo che non volevamo più vedere – troppo abbagliati dalle luci stroboscopiche degli anni 90 – ora ci troviamo a saltare e a riflettere in un minestrone di emozioni.

Donne” e “Un soffio caldo” arrivano dritte al cuore, e l’omaggio a Luciano Pavarotti con “Miserere” ci ricorda uno dei duetti più spiazzanti del secolo scorso: la voce inconfondibile del tenore, proiettata sullo schermo, con uno nuovo duetto terra/cielo.

La voce di Zucchero è sempre calda e potente, ma la forza dello show è sostenuta alla grandissima da una band eccezionale, che da sola avrebbe meritato il prezzo del biglietto. Sezioni di fiati, coriste, chitarristi e tastieristi, con tanto di doppia batteria: non dobbiamo sempre invidiare americani e inglesi.

Un concerto che profuma di famiglia, attaccamento, storia, amore e rispetto, che accoglie anche due special guest. La naturalezza con cui Zucchero abbraccia Xavier Rood prima di suonare meravigliosamente con lui, e l’umiltà con cui Salmo sale sul palco per duettare sulle parole  “Diavolo in me” (chiudendo il concerto) sono pezzi di vita e tangibili prove di come Zucchero sia considerato.

Era arrivato al successo dopo tanti schiaffoni, mentre il pubblico celebrava ancora mostri sacri come Battisti, Dalla, Venditti, De Gregori, De André. Nonostante abbia duettato con miti viventi come Sting, B.B King, Eric Clapton, (oltre a Pavarotti, ovviamente) la sua carriera non ha avuto il riconoscimento artistico che meritavano i suo testi. Ora sul palco ci rendiamo conto di quanto le sue parole fossero avanti: un futuro anteriore al ritmo di Rock & Blues di un numero uno mondiale, senza se e senza ma.

Paolo Tedeschi

Ps: Tra un brano e l’altro è comparsa sullo schermo la frase: “Chi non ha un blues per Gaza ha un buco nell’anima“. Per chi ha problemi con la retorica, questa era la serata per ricredersi.

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