Anche la filiera dell’Asiago Dop risente dei rincari. Costi di produzione del latte su del 27%

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Fiorenzo Rigoni

L’allarme sulle conseguenze dei rincari delle materie prime è generalizzato, con determinati settori produttivi ad alzare la voce per proteggere non solo, in questo caso, l’Asiago Dop da distribuire sugli scaffali di gastronomie e supermercati, ma anche l’intera filiera che conta in tutto 1.200 aziende collegate tra allevamenti, caseifici e rivendite e una “città” di circa 8 mila addetti. Già appare il termine “crisi”.

L’accento viene posto dal Consorzio Tutela Formaggio Asiago, che evidenzia con dovizia di numeri e percentuali l’incremento incontrollabile di costi da affrontare per la produzione di latte e formaggio, inevitabilmente destinati a ripercuotersi in parte o in proporzione sul consumatore con effetti pericolosi sull’economia di settore. Solo per l’approvvigionamento del latte, come esempio emblematico, i dati forniti rilevano un aumento del 27% rispetto alle quotazioni precedenti, ma ci sono percentuali che schizzano anche oltre il 100%.

L’associazione vicentina in queste settimane ha sintetizzato le voci raccolta da parte dei propri allevatori e aggiornato le tabelle sui dati salienti che riguardano materie prime e costi di produzione. “L’emergenza rincari delle materie prime si sta abbattendo anche sulla produzione simbolo dell’eccellenza casearia italiana prodotta in Veneto e Trentino – si legge nella nota ufficiale diffusa al termine di uno studio articolato – l’Asiago Dop, colpita da una raffica di aumenti senza precedenti, che mette a serio rischio la sopravvivenza di tutta la filiera produttiva fatta di piccoli e medi produttori, espressione di una tradizione millenaria. La crisi ha i numeri di una serie di aumenti vertiginosi, a partire da quelli per l’alimentazione bovina”.

Ecco alcuni fra i dati salienti presentati dal Consorzio. Nel 2021, rispetto al 2020, i costi per l’autoproduzione dei foraggi e dei cereali sono incrementati in modo preoccupante. Mais aumentato in media del 54,2% con punte anche del 102,5%; semi di soia del 45,4%, arrivando anche al +78,7%. Costi che, nel 2022, hanno visto anche l’energia elettrica incrementare del 131% e il gas metano del 94% rispetto al 2021. Nel complesso, per produrre un litro di latte servono 10/12 centesimi in più. Tradotto in percentuale si torna a quel 27% del valore del latte stesso.

“In un contesto così sfavorevole – afferma il presidente del Consorzio di tutela, Fiorenzo Rigoni – i soci hanno continuato a produrre accollandosi i maggiori costi delle materie prime e, allo stesso tempo, impegnandosi a migliorare la loro efficienza. Oggi, però, non è più sostenibile che il peso di questi continui aumenti sia sulle spalle dei soli allevatori, produttori ed aziende di trasformazione. È arrivato il momento che le istituzioni e le catene della grande distribuzione affrontino il tema dell’inflazione con senso di responsabilità, pena la chiusura di centinaia di allevamenti ed imprese, con la possibile scomparsa di un prodotto che fa parte della nostra tradizione e della nostra storia. Ne va del futuro di tutti. Un esempio? L’allevatore che chiude la sua attività la fa per sempre, si tratta di un presidio territoriale e ambientale unico e insostituibile e di un tassello fondamentale dell’economia. Un allevatore che chiude rende più povero il carrello della spesa di tutti“.