L’impegno di Malga Col del Vento per salvare la pecora Foza, in via di estinzione

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A Cesuna sull’Altopiano di Asiago, grazie ai gestori di Malca Col del Vento, si sta salvando dall’estinzione una rara razza di pecore (la “Foza”), attraverso un progetto regionale, che prende il nome di Sheep Up e che coinvolge una quarantina di allevatori in tutto il Veneto, impegnati nel salvataggio di quattro razze ovine: Foza, Brogna, Lamon e Alpagota. L’obiettivo è valorizzarle ed evitarne così la scomparsa.

Fra le azioni previste, anche un percorso di dieci incontri – promosso dal Centro Consorzi di Belluno, ente di formazione che affianca le aziende nella loro crescita e nello sviluppo di aggregazioni – che si concluderà mercoledì 20 aprile 2022 proprio negli spazi di Malga Col del Vento: prevista una dimostrazione di tosatura, col maestro tosatore Claudio Filisetti, cui farà seguito la messa in pratica della tecnica e un pranzo a tema.

“Malga Col del Vento – spiega Stefano Sartori, a capo della struttura di Cesuna – si fa promotrice di un progetto che riunisce i principali allevatori che stanno recuperando le antiche razze ovine di aree montane marginali, quali Valbelluna, la Lessinia e l’Altopiano dei Sette Comuni. Sono geometra, casaro, malgaro e pastore e tutto ha concorso a definire l’uomo che sono. Ho una moglie appassionata del mondo equestre e  un nonno pastore di pecore: inevitabilmente anche io mi sono legato all’universo animale. Nel 2015, quando presi in mano la Malga, scelsi di inserire come allevamento qualcosa che regalasse a me e alla comunità tutta un valore aggiunto. Per questo decisi di portare sulla mia terra le pecore di razza Foza”.

Stefano è attualmente uno dei rari allevatori che sta cercando di preservare la razza Foza, oggi a rischio estinzione. “Un piccolo eroe” che non solo crede nel progetto, mettendo a disposizione gli spazi della sua Malga per ospitare la pratica di tosatura e i capi bestiame, ma che – coraggiosamente – sta producendo il primo filato di pecora Foza “dopo un secolo dall’ultimo gomitolo”.

Sheep Up
Il progetto (i cui partner sono Centro Consorzi di Belluno capofila, Fardjma, Giopp Ruggero, Associazione Fea De Lamon, l’Associazione Pecora Brogna, le aziende agricole Guglielmo dal Molin, i Comuni di Foza e di Lamon, l’Unione Montana Alpago, l’Università di Padova, il Cnr Ircres, l’Università del Gusto di Pollenzo e lo studio di consulenza Etifor) è finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale del Veneto e si propone di migliorare la competitività degli allevamenti ovini di razze autoctone e delle aziende agricole, nonché di individuare il valore aggiunto delle produzioni locali per aiutare le aziende a differenziare i propri prodotti, valorizzare le filiere corte e utilizzarne i sottoprodotti.

La lana di pecora “Foza”
Tra gli obiettivi del progetto Sheep Up, il desiderio di legare indissolubilmente le produzioni animali (carne e latte) alla zona geografica di riferimento, esaltando aspetti attuali e innovativi come il valore nutraceutico e sensoriale delle produzioni stesse, nonché il recupero, la caratterizzazione e la promozione del prodotto lana, in un’ottica di economia circolare, per la produzione di manufatti di alta qualità e ad alto valore aggiunto in termini di identità locale.
Ed è proprio su quest’ultimo punto che Stefano Sartori si fa portavoce di un messaggio di sostenibilità: “Quel gomitolo di lana che otteniamo attraverso la tosatura delle pecore di razza Foza arriverà a creare un possibile mercato che parla di salvaguardia dell’ambiente rurale e di biodiversità”.
Pur grezza, rigida e pungente, questa lana – la cui qualità ha fatto la fortuna dei lanifici dell’Alto vicentino nel XVI secolo – oggi si presta particolarmente per progetti di design di lusso.

“Attraverso la lavorazione di mani artigiane, il gomitolo può essere trasformato in un oggetto prezioso, in un arazzo, in un centrotavola, in un manufatto che ha una storia da raccontare – commenta Stefano -. Attorno a questo filo di lana c’è, infatti, la storia di una comunità, quella di Foza, che era solita praticare un allevamento sia di tipo stanziale che transumante, sia in montagna che in pianura, che ha permesso al distretto scledense una rapida espansione e che ha assicurato la sussistenza di molte famiglie per secoli. Attorno a questo filo di lana c’è la storia di una razza che poteva contare 200 mila capi ai tempi della Serenissima, mentre oggi meno di 200”.