La perizia: “Michele Merlo si sarebbe salvato se la diagnosi fosse stata corretta”

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Michele Merlo aveva buone probabilità di essere salvato, se gli fosse stata fatta la giusta diagnosi. Lo scrive oggi il Corriere del Veneto, spiegando che sarebbe questo quanto emerge dalla nuova perizia disposta dal giudice per le indagini preliminari Nicolò Gianesini della Procura della Repubblica di Vicenza, dove il fascicolo è stato trasferito da Bologna. I periti veneti, insomma, confermano quanto già avevano affermato i colleghi emiliani. L’indagine è per omicidio colposo e vede iscritto nel registro degli indagati il medico di medicina generale di Rosà Pantaleo Vitaliano.

La relazione della perizia, che è stata effettuata dal medico legale Antonello Cirnelli e dall’oncologo Valter Bortolussi, è stata depositata nei giorni scorsi e verrà discussa con i due medici a fine settembre. I periti della Procura di Vicenza hanno quindi confermato quello che già era emerso: quando Michele Merlo andò dal dottor Vitaliano nel suo studio a Rosà era già evidente che non si poteva trattare solo di un trauma muscolare (come aveva ritenuto il medico) e il professionista avrebbe dovuto inviare il ragazzo in pronto soccorso per urgenti analisi del sangue che avrebbero accertato la vera origine di quell’ematoma e degli altri sintomi che Merlo presentava: una leucemia. Ovviamente non c’è certezza che il 28enne si sarebbe con certezza potuto salvare.

Il 28enne cantante vicentino, ex concorrente di Amici e X Factor come si ricorderà è morto a causa di una leucemia fulminante il 6 giugno del 2021 all’ospedale di Bologna. Al dottor Vitaliano, con studio a Rosà, cui l’artista si rivolse il 26 maggio dello scorso anno per un ampio ematoma alla coscia sinistra, fu curato per uno strappo muscolare. Il 2 giugno Merlo si presentò poi all’ambulatorio di continuità assistenziale di Vergato, sulle colline di Bologna, dove viveva la fidanzata e dove il cantante: aveva febbre, forti emicranie e placche in gola. Anche questo medico mandò il cantante a casa, questa volta con una diagnosi di tonsillite. Tuttavia, la prima perizia richiesta dalla Procura di Bologna ha stabilito che in quella occasione anche una giusta diagnosi sarebbe stata già tardiva e non avrebbe lasciato scampo allo sfortunato giovane: «Nessuna terapia somministrata il 2 giugno – avevano stabilito gli esperti – avrebbe evitato il decesso».

Il 26 maggio però probabilmente si. «Qualora la terapia corretta fosse stata somministrata a partire dal 27-28 maggio – afferma la perizia dei consulenti della Procura di Bologna – avrebbe avuto una probabilità di sopravvivenza compresa tra il 79 e l’87 per cento». Quello che da sempre, attraverso l’avvocato Marco Dal Ben, sostengono anche i familiari di Mike Bird (questo il nome con cui si era fatto conoscere dal pubblico televisivo): sarebbe bastato un dubbio in più da parte del suo medico di base e alcune analisi del sangue per indirizzare prontamente le cure verso un esito diverso.

Il medico di Rosà ha sempre respinto le accuse di negligenza, affermando che fu il giovane a parlargli di una contusione subita durante le operazioni di trasloco e di avergli comunque detto di tornare il 31 maggio. Anche dall’ispezione della Regione, che è agli atti dell’inchiesta, non sarebbero emersi rilievi particolari sulla gestione del paziente.