Martedì l’addio a Dorina, la 39enne straziata a martellate dal marito. Generosità per i figli

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Nel riquadro la 39enne di origini albanesi e sullo sfondo l'abitazione presa in affitto 4 anni fa

Ora è la volta del funerale, a chiudere un capitolo ma non la ferita aperta che ha lasciato in eredità la morte di Dorina, la donna di 39 anni uccisa dal marito violento Gezim Alla, nel pomeriggio di domenica 18 aprile. La cerimonia di commiato, alla presenza dei connazionali giunti dall’Albania in questi giorni, si terrà martedì mattina alle 11 nel cimitero di Pove del Grappa. Si è atteso oltre 15 giorni per fissare l’ultimo saluto non solo in virtù dell’esame autoptico disposto dalla Procura ma anche per il periodo di quarantena a cui sono dovuti sottostare i parenti giunti in Italia dall’estero, in particolare i genitori di Dorina, nonni dei due bambini raggiunti a Pove.

La cittadina di confine tra le province che aveva accolto quattro anni fa la famiglia Alla, composta anche da due figli minorenni ancora in età scolare, di 13 e 9 anni, in un colpo solo privati della loro mamma uccisa a colpi di martello, e di quel padre capace di spezzare la vita della propria compagna per sempre e devastare di dolore quella dei figli. Entrambi si erano rinchiusi nel bagno di casa, sentendo le urla dei genitori, impauriti, in quei attimi tragici vissuti in via Bastianelli.

Il 51enne operaio è stato arrestato dai carabinieri lo stesso giorno, senza opporre alcuna resistenza e si trova da quella terribile domenica in carcere, da reo confesso dell’uxoricidio. Come ormai assodato, altri episodi precedenti di violenze domestiche erano noti, con la vittima a finire in pronto soccorso, picchiata dalla mano del marito nel 2017, e la rete di supporto attivata per sostenere la donna. Rimasta però al suo fianco, senza presentare denuncia, nonostante il terrore che quella forza bruta si ripetesse, probabilmente per amore dei suoi bimbi. O forse, appunto, per paura. E proprio la volontà di chiudere la relazione potrebbe aver scatenato l’ennesima e ultima lite, finita nel sangue.

In un quadro denso di dubbi e rabbia uno spiraglio di parziale distensione giunge dalle iniziative a sostegno dei due ragazzi della coppia, maschio e femmina. Anche il gruppo Alpini locali si è rimboccato le maniche per favorire una “colletta” per loro, organizzando una cena a distanza con ricavi da devolvere. Anche questo slancio di generosità andrà a confluire in una raccolta fondi proposta dall’amministrazione comunale e dall’associazione Avas, che avrebbe già raggiunto i ventimila euro. In appena una settimana dall’apertura di un conto corrente a loro favore.

La somma raccolta non potrà certo restituire loro l’adorata mamma nè cancellare l’incubo reale che stanno vivendo, ma permetterà loro un domani di seguire le proprie aspirazioni sostenuti (anche) economicamente da tante persone toccate nel profondo del cuore dalla dramma che li ha colpiti. A fornire loro un supporto fondamentale c’è una rete di psicologi e la famiglia di parenti in Italia a cui sono stati affidati e un tutore nominato dal giudice di Vicenza, titolare delle indagini. Prossimamente, quando saranno ritenuti pronti da chi li segue, torneranno a scuola a Pove, iniziando a porre i primi mattoncini di quella che per forza di cose sarà per loro una nuova vita da costruire. Mai soli.