Incontri ‒ Franco, il cioccolato fondente e la spesa a Santa Croce durante il lockdown

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Iniziamo dalla fine di questa storia. Sono nel salotto di Franco, 81 anni, vive solo nel quartiere di Santa Croce a Schio. Nelle pareti numerose foto, c’è la moglie che ha perso pochi anni fa a causa di un tumore e il figlio, morto di infarto nel 2001. Entrambi abbiamo la mascherina, la prudenza non è mai troppa e soprattutto mi sento responsabile nei suoi confronti data l’età. Mi parla di questi mesi sgranocchiando un pezzo di cioccolato fondente, ha letto alcuni libri interessanti a suo dire e menziona in particolare «Lavorare stanca» di Cesare Pavese. La sera guarda quasi sempre un talk politico: «Voglio informarmi ascoltando tutte le bandiere», dice.

Nonostante i timori della pandemia, conserva uno spirito positivo e ha la battuta facile: «Dio non mi vuole perché ha troppe cose da fare ultimamente!».

Un passo indietro.
Ho conosciuto Franco nell’autunno scorso, un buongiorno reciproco ha portato altre chiacchiere. Mi raccontò in breve una vicenda divertente del quartiere. Nell’arco di qualche mese lo rividi per caso altre volte, sempre nel suo giardino condominiale vicino alla strada dove passavo camminando, e un giorno gli dissi di darmi il suo numero di telefono che se avessi avuto notizie lo avrei avvisato (si parlava di norme comunali per i rifiuti).
Iniziò il lockdown e dopo qualche tempo mi venne in mente Franco. Perciò lo chiamai. Non aveva più la solita ironia, lo sentivo molto preoccupato. La telefonata durò pochi minuti, un breve confronto su quanto stava accadendo. Il giorno dopo mi venne in mente che forse aveva bisogno di qualcosa e che alla sua età era preferibile stare in casa invece che uscire.

Ricordo che poche ore dopo ho compilato un’autocertificazione, ho messo guanti, mascherina e sono andato al supermercato con la lista. È diventata un’abitudine, ogni settimana gli facevo la spesa. Mi sembrava un piccolo gesto di cortesia per un anziano solo, anche perché per l’età e con alcuni farmaci da prendere ogni giorno rappresentava un soggetto ad alto rischio per il covid-19.
«Buongiorno, eccomi, fra cinque minuti sono lì e le metto le borse della spesa davanti alla porta, va bene?»
«Grazie Morgan, quanto hai speso?»
«39 euro»
«Ti metto come l’altra volta una busta con i soldi sotto il tappeto, grazie ancora». Funzionava così: prima di arrivare gli telefonavo per comunicare il conto della spesa, citofonavo, poi mettevo tutto davanti alla porta, sotto il tappeto trovavo la busta con la somma esatta, bussavo e me ne andavo. Preferivamo non avere vicinanza fisica. Da fuori aspettavo che arrivasse alla finestra, da dove mi salutava.
Una volta si era sbagliato con i soldi, mettendo venti euro in più. Lo richiamai per dirglielo e replicò: «Lo so, ma sono contento così, tu comprati un libro, è il mio modo di sdebitarmi». Non insistetti, capii che voleva davvero poter ricambiare in qualche modo.

Nel salotto di casa sua mi racconta che non ha affatto paura della morte. Ci ha pensato più volte da quando ha cominciato a uscire, anche per fare la spesa. Manifesta con le parole un certo fatalismo e mi parla della serena accettazione che il destino deciderà, nel frattempo lui impegna il tempo con piccole cose: dalla lettura ai programmi in televisione, dalla cura del suo orticello alla passeggiata quotidiana.
«Perché dovrei preoccuparmi troppo di qualcosa che non posso controllare in alcun modo?»
«Sì, Franco, hai ragione… Ti immagini qualcosa nell’aldilà?»
«Assolutamente sì, non vorrai che sia tutto qui, vero? Mi spiace per gli atei, non sanno cosa si perdono, è molto più bello credere che potrò rivedere mia moglie e mio figlio.»
«Eh, ma non abbiamo la certezza, non pensi?»
«L’unica certezza che abbiamo è il Pasubio, sempre lì, fermo» e ride.

Dei mesi di lockdown ho vari ricordi, ma uno mi è caro. Le liste della spesa di Franco e l’immancabile cioccolato fondente che doveva essere «almeno con il 70% di cacao, altrimenti fa schifo».