Spettacolando – Gianna Nannini all’Arena di Verona: la voce ribelle che non smette di incendiarsi

Foto Paolo Tedeschi

C’è qualcosa di epico quando un’artista come Gianna Nannini sale sul palco dell’Arena di Verona. Non è solo l’emozione dell’ultima tappa del tour “Sei nell’anima” ma la sacralità dell’ abbraccio tra una voce che ha attraversato la storia contemporanea e un luogo che ne custodisce la memoria.
Con la sua energia ruvida Gianna torna in Arena a fondere il rock della sua gioventù con le sperimentazioni più recenti; le ballate intrise di poesia e la passione che si auto genera negli anni (71 per la precisione, percepiti 25).

Il concerto è inserito in un calendario ricco di grandi eventi ma quello di Nannini ha un significato speciale: trasformarsi, sorprendere, rimanere fedele a se stessa (e non lo sanno fare proprio tutti). Gianna non si limita a proporre il suo repertorio ma lo reinventa, lo piega alle sue nuove urgenze, lo rigenera in una forma che spiazza e lascia un segno. (Anche) per questo, l’attesa era febbrile. I fan storici, quelli che l’hanno seguita dagli anni Ottanta mescolati a nuove generazioni di ascoltatori, attratti da quella voce roca. L’Arena è gremita.

Si percepisce appartenenza: di sentimenti, di tradizione, di vita che cambia e cresce con un linguaggio che si adatta al tempo in cui viviamo. I testi di certe canzoni sono pieni del becero degli anni ’80, ok, quando un ragazzo dell’Europa che lascia Madrid, odora di sesso all’idea di bere fiumi di vodka per infilarsi nei jeans di una ragazza che aspetta solo lui. Il ragazzo dell’Europa è un icona di “Latin Lover”, un  figo pazzesco, disinibito e passionale.
Quell’immagine ferma il tempo dei nostri ricordi e si confonde con una realtà dallo spirito diverso: quel ragazzo non esiste più, né quell’Europa, mentre la nostra malinconia si mescola con un oggi nel quale il sogno è sopraffatto, mentre ci troviamo a fingere di lottare per una pace che abbiamo dato per scontata, inseguendo ciò di cui non abbiamo saputo prenderci cura. Non impariamo mai dalla storia.

Riavvolgiamo il nastro. Il cielo sopra Verona è terso, non grigio come quello di Berlino e il tramonto si colora di rosso. Sullo schermo appare una gigantografia del suo volto mentre sale sul palco e canta “Motivo”: come a dire, non sarà non una serata revival a ripensare alla nostra giovinezza. Sul fronte look, ovviamente. giacca di pelle stile chiodo, che per lei è come la tuta di Spiderman, o un tutt’uno come per Clark Kent/Superman.
Gianna salta, balla e ci sbatte in faccia il suo corpo che urla vita, con la liberatoria consapevolezza di chi non insegue più la trasgressione, perché non ne ha più bisogno.
Con “America” le prime file sono già tutte in piedi e del senso perduto di quelle parole ce ne freghiamo in due secondi; ci facciamo cullare da “Fotoromanza” con arrangiamenti asciutti e funkeggianti, ed esplodiamo come adolescenti cantando a squarciagola “Bello e impossibile” con la leggerezza di un amore fluido, come si dice adesso.

Con “Sei nell’anima”, il registro cambia e Gianna, sola al pianoforte, ci regala una delle interpretazioni più intense della serata. Torce in mano al posto degli accendini e occhi fissi su di lei: lucente, vibrante e commossa. La guardiamo ipnotizzati, come a cercare di capire come si può essere tutto questo nelle stesso istante, su un palco, di fronte a migliaia di sconosciuti. Ci giriamo a cercare le risposte e troviamo quella sensazione di essere a casa in un’arena: cerchiamo gli sguardi dietro un basso, una batteria, dietro tre ragazze che si abbracciano mentre ci arriva la più facile delle risposte. Quello che cerchiamo affannosamente nella vita ipertrofica è li davanti a noi: basta saperlo guardare.
“Meravigliosa creatura”, cantata come una liturgia, è il saluto finale: si congeda così, stanca ma soddisfatta; il lungo abbraccio con la band che arriva fino a noi e quelle espressioni che dicono sì, ce l’abbiamo fatta. Andare a casa con l’adrenalina e la sensazione di aver imparato qualcosa, non succede (quasi) mai dopo un concerto.

Paolo Tedeschi