Fine pena per Brusca, esce dal carcere dopo 25 anni. Maria Falcone: “Una notizia che mi addolora, ma questa è la legge”

Ascolta l'audio
...caricamento in corso...

Il 64enne boss mafioso Giovanni Brusca, ha lasciato il carcere dopo 25 anni per fine pena. E’ stato un fedelissimo di Totò Riina, prima di diventare un collaboratore di giustizia ammettendo, tra l’altro, il suo ruolo nella strage di Capaci e nell’uccisione nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo. Brusca è uscito dal penitenziario di Rebibbia con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna per buona condotta.

Sarà sottoposto a controlli e a quattro anni di libertà vigilata, come ha deciso la Corte d’Appello di Milano ma anche alla protezione come prevede la legge che applica i benefici previsti per i collaboratori cosiddetti “affidabili”.

L’ex boss, che veniva soprannominato lo “scannacristiani” per la sua ferocia, il 23 maggio del 1992 azionò il telecomando che innescò la strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Venne arrestato nel 1996 nel suo covo a Cannatello, frazione balneare tra Agrigento e Favara, dove il boss trascorreva la sua latitanza col fratello Enzo Salvatore e con le rispettive famiglie. Dopo alcuni mesi Brusca iniziò a collaborare con la giustizia rivelando i retroscena e il contesto di tanti delitti e degli attentati a Roma e Firenze del 1993. Le sue rivelazioni diedero il via a numerosi procedimenti che hanno incrociato anche i percorsi dell’inchiesta sulla “trattativa tra Stato e mafia”.

Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni commenta: “Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. La stessa magistratura – aggiunge Maria Falcone – in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato: non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili possa tornare libero a godere di ricchezze sporche di sangue”.

Esprime invece forte indignazione Tina Montinaro, la vedova di Antonio, il caposcorta di Giovanni Falcone. “Lo Stato – ha detto – mi ha preso in giro, sono sconfortata: a distanza di 29 anni non so ancora la verità su Capaci e chi ha schiacciato il bottone e distrutto la mia vita torna libero. Non è servito a nulla quanto è successo a Palermo. Ho bisogno di uno Stato che ci tuteli non che liberi i criminali”.

Dal mondo politico il leader del Pd Enrico Letta dichiara che come ha ricordato Maria Falcone quella legge applicata oggi ha consentito tanti arresti e l’ha voluta anche suo fratello. “Ma è un pugno nello stomaco che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile”, sottolinea Letta.