Saverio Tasca, Premio Cultura Città di Bassano: «Manca il coraggio di rischiare il nuovo»

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Ci sono storie che devono essere raccontare e conosciute. Non solo perché profondamente legate alla cultura e alle tradizioni del proprio territorio, al quale aggiungono inevitabilmente valore. Ma anche perché sono un esempio per chi vuole seguire le proprie passioni senza compromessi. Queste storie diventano stimoli, insegnamenti, speranza.

Questa volta parliamo di Saverio Tasca, il musicista che domani alle 17 al Teatro Da Ponte di Bassano riceverà il Premio Cultura Città di Bassano del Grappa per l’anno 2016. Lo stesso premio fu assegnato nel 2002 a suo padre, il noto designer e ceramista di Nove Alessio Tasca, ex insegnante della scuola d’Arte del paese, primo caso in cui il massimo riconoscimento cittadino viene conferito a padre e figlio. Due eccellenze dell’arte, quindi, nella stessa famiglia bassanese, seppur in campi differenti. Che però in qualche modo si contaminano. Il nonno di Saverio, Edoardo, era ad esempio sia pittore ceramista che musicista: suonava il violino e il pianoforte accompagnando i film muti nei cinema o esibendosi alle feste.

Saverio, 53 anni, nato a Nove e residente a Bassano del Grappa, è uno dei migliori vibrafonisti d’Europa. Diplomato in Strumenti a Percussione al Conservatorio di Vicenza, dove ora è docente, si è distinto particolarmente nella scena jazz con innumerevoli progetti, ma ha riscosso importantissimi riconoscimenti anche nella musica classica, pop (turnista per “L’Albero 1997” di Jovanotti e per il Tour Acustico di Ivano Fossati del 2003) e contemporanea. «Quando mio padre ha ricevuto il Premio Cultura Città di Bassano del Grappa – ci racconta – ho ingenuamente pensato: chissà se a 70 anni lo riceverò anch’io!». Invece gli è arrivato molto prima. E per la musica, non per la ceramica, nonostante anche lui abbia imparato le tecniche della tradizione novese e ci si sia dedicato qualche anno prima di compierne venti: «Si chiama “idiosincrasia” l’incompatibilità esasperata per qualcosa? Ecco, provavo questo per la ceramica. Però, a differenza del dono dell’agile mano libera nel disegno che hanno mio padre e mio fratello Vittore e che ha ereditato anche mia figlia (per altro tutti e tre mancini), io ero bravo nei lavori tecnici e geometrici».

Alla musica si è avvicinato quando i genitori l’hanno iscritto da bambino a pianoforte, ma il vero stimolo secondo lui è stato il canto della madre: «Mia mamma cantava sempre, di tutto. Anche questa è una formazione. Durante l’adolescenza ho provato tutti gli strumenti musicali. Poi a 18 anni, come spesso capita, ho iniziato a studiare batteria semplicemente perché mancava nel gruppetto in cui suonavo. E lì ho avuto il primo sentore di essere portato a suonare strumenti percussivi. Allora i locali avevano una forza differente, c’era qualche soldo in più da amministrare, più gente che veniva ai concerti e molta passione da parte dei gestori». Spesso si fatica a ricordare quel momento della vita che ha cambiato tutto, la cosiddetta svolta. Saverio invece quel momento ce l’ha impresso: «Era in un giorno invernale del 1986. Stavo uscendo da casa a Nove, mio fratello stava rientrando. In quel periodo ero sicuro di essere già sulla strada del successo, ma lui mi ha detto che era ora che mi mettessi a studiare seriamente. Io, che sono un tipo orgoglioso, l’ho presa male, ma poi mi sono iscritto al Conservatorio di Vicenza. Da quel momento è partita una serie di eventi che in pochi anni mi ha permesso di arrivare a capire esattamente cosa volevo fare».

Fino all’incontro con il vibrafono: «Studiando solo la batteria, avevo paura di non riuscire a studiare più gli altri strumenti percussivi. Allora a 23 anni ho smesso di suonarla e, stimolato dall’amico musicista Michele Calgaro, ho iniziato a suonare il vibrafono in duo. Suonavo così male all’inizio che mi dicevano che facevo le note “saveriose”! Ma sono migliorato in pochissimo tempo. Mi sono fatto conoscere e poco prima degli anni ‘90 a Siena Jazz ho ricevuto molte richieste a livello nazionale». Ma Saverio non fa solo jazz. «Nel campo della classica, sono stato fortunato perché appena entrato in conservatorio il mio insegnante che suonava al Teatro La Fenice, fidandosi di me, mi ha affidato incarichi con l’Orchestra da Camera di Padova, quella della Fenice, la Sinfonica di Sanremo. Ho fatto 8 anni in 4 di conservatorio, finendo di studiare ad Amsterdam».

Per imprinting familiare, però, voleva da sempre fare l’insegnante. «Appena conclusi gli studi, è uscito l’unico bando di concorso per insegnanti con esami suonati. Io avevo preparato soprattutto brani solistici e il bando era costruito su brani solistici, quindi l’80 per cento del programma l’avevo già a memoria e sono arrivato terzo in Italia. Con un lavoro così sicuro, mi sono sentito libero di permettermi di scegliere dove e con chi suonare, cosa che, mi rendo conto, è un privilegio per pochi tra noi musicisti». Altra grande passione di Saverio, la composizione, la scrittura per strumenti a percussione. «Ho avuto grandi soddisfazioni a livello mondiale: sono stato pubblicato dalla casa editrice americana Honey Rock Publishing e da una casa olandese, ho vinto anche il terzo premio mandando una composizione per vibrafono al più grande convegno di percussioni mondiale. Ho scritto poi un concerto per vibrafono e strumenti ad archi che ho pubblicato negli Stati Uniti, che ha avuto successo anche in altri Paesi, come Messico». L’ispirazione nella scrittura Saverio la trova dai compositori colti, nel contrappunto, nella melodia accompagnata, nella polifonia, nell’uso geniale dei timbri dell’orchestra, nel periodo fertile della forma del poema sinfonico di Wagner, Liszt e Strauss.

Nonostante il successo internazionale, però, Saverio non ha cercato la sua strada all’estero e continua a vivere a Bassano: «I malevoli potrebbero dire che è pigrizia, i benevoli che è conservazione di una propria individualità. Per cominciare avrei dovuto trasferirmi a Milano, ma ai tempi quella città mi metteva troppa tristezza. Poi non ho mai ambito a diventare un lavoratore dello spettacolo, l’andare a suonare tanto per portare a casa i soldi. Io ho sempre cercato la passione, potendo scegliere grazie all’insegnamento: preferirei fare un lavoro manuale piuttosto che uno per il quale se ci sei tu o un altro è la stessa identica cosa, non lo sopporterei. Altrimenti la nostra artisticità dove sta? É una sorta di artigianalità replicabile? Credo comunque che in Italia ci siano magnifici musicisti e magnifici insegnanti, ma strutture antiquate». E ai musicisti che si stanno formando suggerisce: «Diventate i più bravi qua prima di andare all’estero, perché se non sei il migliore qua, che probabilità ci sono che lo diventi in un altro posto? E dopo decidete se ci sono altri luoghi più confacenti al proprio modo di essere e di esprimersi».

Consapevole che comunque il momento storico economico è più difficile di prima, Saverio coglie l’occasione del Premio Cultura Città di Bassano del Grappa per una riflessione: «Nei locali vengono chiamati gli artisti già famosi che portano gente. Nei cartelloni dei teatri ci sono sempre più attori conosciuti dalla televisione che fanno audience. Ciò che più manca per crescere nel mondo della cultura oggi è il rischio, il coraggio di valorizzare le idee nuove e i grandi artisti che le hanno».

Di Elena Ferrarese