Spettacolando – Mannarino fa ballare e saltare L’Arena di Verona

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Alessandro Mannarino, si regala un pienone settembrino nell’Arena di Verona. L’artista nasce come cantastorie, una variante romana di Vinicio Capossela, si diceva.
Sebbene il paragone nascesse spontaneo, e non per via dell’affezionato look col cappello, Mannarino si è trovato a ribadire con orgoglio la sua identità. Il concerto si è tenuto lo scorso 28 settembre.

E’ normale essere intrisi del buon sapore di chi è venuto prima; avviene in ogni sfera dell’arte, in economia come in politica, è tappa obbligata prima di poter timbrare l’unicità. Normale che la fiamma che scalda degli artisti si alimenti di ossigeno esterno, che il fuoco che arde tentenni il giusto prima di essere sprigionato. Ma il tema del confronto è pressante da sempre, sollazza nella natura dell’uomo: è l’ombra di un incubo, anche quando non esiste neppure.

Capita così che si inseguano strade avverse, persino contro la propria natura, solo per voler dimostrare. Dimostrare cosa?
All’apice del primo vero successo, Mannarino scelse di intraprendere un sentiero più intimista con un tour teatrale in contrapposizione con l’idea che il pubblico aveva di lui, e che ai sui concerti ci andava (anche o soprattutto) per ballare. Le ragazze volevano sudare con gioia e gli uomini si volevano ubriacare dell’odore della donna, della gonna, del mare, e del vento. Desideravano una festa, insomma, più che un concerto d’ascolto.
Capitò che la rabbia che nutriva la voce roca di certe sue canzoni uscisse dal vaso di pandora, e qualcosa s’incrinò, anche coi suoi fans.

Dalle ferite esce sempre sangue e si può cadere nella tentazione di coltivare la sofferenza, col rischio di diventarne dipendenti come da un oppiaceo. Oppure ci si prende l’Arena di Verona come un gladiatore romantico e più nessuno si ferma a notare se la chioma di maschio latino è avvolta in un cappello rotondo. Si canta, si ascolta, si balla, si ride, si fa festa e si brinda alla vita senza nemmeno chiedersi se i testi delle sue canzoni siano politicamente corretti.
La spontaneità di Mannarino ha prevalso, l’artista si è fuso con l’uomo e la sua musica ha raggiunto i gradoni più alti senza richiesta di approvazione.

Abbiamo cantato con lui e lui con noi, mettendosi in disparte ad ascoltarci. Chi c’era già dai primi concerti ha avuto il dolce tributo dall’artista, che ne ha riconosciuto i volti; e a chi è salito sul carro del vincitore Mannarino ha allungato una mano amica.
In momenti in cui l’aria tenebrosa che arriva da Est ci raffredda lo spirito, la fiamma di Mannarino ci ha avvolti per scaldarci tutti, senza nulla chiedere in cambio, come fanno gli amici veri. Quelli che sono cresciuti con noi come quelli che abbiamo incontrato lungo il viaggio.
Riderà al sole? L’impero crollerà? Forse, chissà. Ma ora è Vivere la vita è il suo inno, la sua vera identità, il timbro che illumina il tempio veronese. Del gladiatore Mannarino.

Paolo Tedeschi