Governo: inizia una settimana ad alta tensione

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Quella che è iniziata è una settimana ad alta tensione per il governo e per la maggioranza. Il primo appuntamento è fissato oggi con il voto della Camera sul decreto Aiuti. Gli occhi sono tutti puntati sul Movimento Cinque Stelle e soprattutto sul leader del movimento Giuseppe Conte, dalle cui mosse future potrebbe dipendere la tenuta dell’esecutivo.

L’appuntamento di oggi per il voto sul decreto aiuti è quasi una formalità essendo stata già votata la fiducia a Montecitorio anche dai deputati Cinque Stelle, anche qualora quest’ultimi si astenessero dal voto finale, il decreto Aiuti risulterebbe comunque già approvato.

Più delicato, invece, sarà il passaggio in Senato, atteso probabilmente giovedì. In quell’occasione il voto su decreto e fiducia sarà unico e per ora le azioni dei Cinque Stelle sono tutt’altro che prevedibili. Prima di quell’appuntamento, lìex premier Conte attende infatti un segnale da Draghi: impegni su reddito di cittadinanza, superbonus e salario minimo.

Il presidente del Movimento conferma: “Non restiamo per farci schiaffeggiare, aspettiamo risposte vere e concrete, il documento non è una farsa. Con il reddito di cittadinanza molti hanno potuto sottrarsi al ricatto delle mafie”. Allo stato attuale, il premier Draghi sarebbe pronto ad aprire alle richieste di Conte, in particolare sul salario minimo, pur di avere la fiducia.

“Da domani in avanti noi voteremo solo e soltanto quello che serve all’Italia e agli italiani, il resto lo lasciamo votare a Pd e M5S”: questo l’attacco del segretario della Lega Matteo Salvini durante la festa del partito a Adro, nel Bresciano. Salvini conclude affermando: “Si vota fra 240 giorni, non cambia la legge elettorale e vince il centrodestra a guida Lega”.

L’ex segretario Pd Nicola Zingaretti – che nel ‘campo largo’ del Lazio ha aperto tra i primi ai pentastellati in maggioranza – si dice d’accordo con Dario Franceschini, quando sostiene che se il M5s fa cadere il governo salta anche l’alleanza e prende atto che Conte non è più punto di riferimento per i progressisti.