Casa Spezzapria, sgombero all’alba. Blitz stoppato, tre feriti lievi tra i manifestanti

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L'ambulanza chiamata dai manifestanti: tre i feriti

Il cordone umano non si spezza e i fratelli Spezzapria per ora rimangono nell’abitazione, nonostante l’ordine di sfratto e il tentativo di sgombero operato prima dell’alba. Ma tre manifestanti vengono trasportati in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale Alto Vicentino. Momenti concitati a partire dalle 4 di stamattina, quando una spedizione di circa una quarantina di membri delle forze dell’ordine tra Digos, carabinieri e polizia, parte dei quali in assetto antisommossa ed altri in borghese – secondo il racconto dei manifestanti già sul posto dalla sera precedente – si sono presentati in via Levà 58 a Piovene Rocchette, intimando ai fratelli Denis, Loris e Silvia Spezzapria e agli attivisti presenti di lasciare libera l’abitazione.

Al rifiuto da parte della famiglia , ex proprietaria dell’immobile andato all’asta e venduto agli effetti dell’ordinanza del tribunale di Vicenza e, quindi, considerata occupante abusiva, il blitz è passato dalle parole ai fatti con cancelli e recinzioni forzati dai militari e lo scatenarsi di un parapiglia dai contorni tutti da chiarire. Un cordone di una sessantina di manifestanti, asserragliati intorno all’edificio, avrebbe opposto resistenza rallentando le operazioni e venendo a contatto con gli uomini in tenuta antisommossa, dotati di caschi e scudi. Una trincea “pacifista” e a mani alzate secondo le dichiarazioni degli attivisti rimasti a difesa della casa per tutta la mattinata, in attesa della versione dei fatti da parte della Questura berica.

Nel frattempo, con l’albeggiare, gli animi si sono gradualmente pacati fino all’arrivo dell’ufficiale giudiziario incaricato di eseguire l’ordine di sfratto, già concretizzatosi in realtà in un primo momento a fine gennaio del 2017 dopo altri precedenti tentativi invece andati a vuoto. Alle 7.30 il funzionario ha varcato la soglia dell’abitazione, uscendone dopo una manciata di minuti appena, a detta della delegazione di attivisti dopo “aver letto un’ordinanza importante che gli abbiamo fornito al suo arrivo”. Onde evitare ulteriori esasperazioni e scongiurare scontri cruenti, sarebbe arrivato l’ordine del rientro nelle rispettive caserme, e l’azione si è così conclusa.

Nulla di fatto, dietro front della task force in divisa e in assetto e il “popolo veneto autoderminato” – guai a chiamarli ancora venetisti, etichetta non gradita – giunto a Piovene a sostenere la famiglia Spezzapria, si libera intanto del peso si una notte insonne ed esulta. “Una battaglia vinta – dichiarano in coro Silvia Spezzapria e Patrizia Badii, quest’ultima portavoce del Comitato di Liberazione Nazionale Veneto -, ma qui oggi sono stati violati i diritti umani” come rincara la battagliera attivista responsabile del Gir (gruppo intervento rapido), ancora in prima linea. “Lo stato italiano occupante si ritira”, ha sostenuto la portavoce, con i fratelli Spezzapria ad abbracciarsi e dispensare sorrisi dopo le interminabili ore di tensione. I leoni di San Marco ruggiscono sventolando le bandiere di fronte all’avamposto difeso a muso duro, ma si tratta solo dell’ennesima e sicuramente non ultima puntata di una controversia tra l’ideologico e il legale che di colpi – e non solo di scena – ne riserverà ancora.

Gli antefatti. L’intricata vicenda giudiziaria tutt’ora in corso deriva dal fallimento dell’azienda tessile Esseci Filati, nel 2005. In seguito, per ottemperare a parte dei debiti accumulati dalla ditta, dopo un valzer lungo anni di carte bollate l’unica proprietà rimasta in dote alla famiglia viene messa all’asta e venduta ad un ignaro – quantomeno riguardo alla querelle in atto – acquirente, ad oggi mai venuto in possesso della villetta. Giunge puntuale poi l’ordine esecutivo di sfratto che, dopo ben quattro tentativi andati a vuoto, viene portato a termine il 27 gennaio del 2017 ponendo i sigilli sulla villetta. In seguito la famiglia Spezzapria, in circostanze non chiare, rientrerà in possesso dell’abitazione di propria iniziativa, rimanendovi stabilmente senza sostanziali novità per oltre un anno, salvo una “visita” lo scorso maggio da parte di non meglio precisate forze dell’ordine per un controllo. Il trio di consaguinei, più uniti che mai, ribadiscono l’illegittimità degli atti giudiziari nei loro confronti in quanto pronunciati in nome di uno stato che non riconoscono.

Il contenzioso, infatti, nel corso degli anni, si è trasferito anche sul piano ideologico: gli Spezzapria e i simpatizzanti, sostenuti dal Comitato di Liberazione Nazionale Veneto, hanno più volte disconosciuto lo stato italiano e invocato il diritto all’autodeterminazione dei popoli, appellandosi ai tribunali internazionali dei diritti umani a difesa dei torti e violazioni subiti.

I feriti. I tre attivisti feriti rispondono ai nomi di Massimo Bortolazzi, veronese, che avrebbe subito un colpo al setto nasale; Mario Positello, trevigiano, salito in ambulanza con un collare ortopedico in seguito ad una contusione al collo; il vicentino di Malo Giuliano Zanin, che ha accusato problemi respiratori dopo il contatto con le forze di polizia. Tutti si trovano attualmente al pronto soccorso per ricevere le cure dei sanitari. “Sono stati usati dei manganelli – assicura Patrizia Badii del CLNV con un documento in mano – e violati dei diritti sanciti dal Tribunale dei diritti dell’uomo, mentre un’ordinanza imponeva esplicitamente che in nessun modo si sarebbe dovuto ricorrere alla violenza”.

Nel frattempo Denis Spezzapria si trova nella caserma dei carabinieri di Piovene per sporgere denuncia per danneggiamenti e per il furto di un drone, manovrato a distanza dai manifestanti, che una volta sceso a terra “è stato sequestrato da agenti in borghese” secondo la loro versione. Stupore da parte dei familiari, riguardo al distacco della fornitura di gas avvenuta nelle ore precedenti.