Scontro Miteni-Greenpeace. Chiesto il sequestro preventivo dell’azienda

Immagine dal sito Ilformat.info

“Un attacco sistematico con notizie false” sarebbe quello che Greenpeace sta compiendo da mesi contro Miteni, seconndo una nota della stessa azienda di Trissino al centro dell’inchieste per inquinamento da Pfas.

L’organizzazione ambientalista oggi infatti ha chiesto il “sequestro preventivo” della Miteni, depositando due differenti esposti: uno presso la Procura di Vicenza e l’altro presso la Corte dei Conti del Veneto. Greenpeace negli esposti ha chiesto anche la verifica su eventuali responsabilità, frutto di dolo o di omissione, addebitabili ai rappresentanti legali dell’azienda e a rappresentanti e funzionari delle amministrazioni pubbliche coinvolte in un nuovo caso di inquinamento, accertato già nel 2013 e parallelo alla questione Pfas. Da alcuni documenti emergerebbe che nel 2013 in numerosi piezometri (ossia pozzi d’osservazione per misurare parametri chimico-fisici della falda acquifera) del sito produttivo di Miteni, le concentrazioni nella falda di alcune sostanze chimiche già normate superavano fino a 3 volte le Concentrazioni Soglia Consentite per le quali è previsto l’intervento con operazioni di bonifica. Superamenti comunicati da Miteni alle autorità competenti insieme alla richiesta di rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, poi concessa dalla Regione Veneto il 30 luglio 2014.

“Dopo avere pubblicato un report su Miteni – afferma la nota dell’ufficio stampa dell’azienda chimica – con dati economici errati, avendo omesso volontariamente di citare intere pagine dei bilanci pubblici della proprietà, e dopo avere diffuso notizie del tutto false sul GenX in relazione a efficienza del trattamento e quantità, ora Greenpeace chiede addirittura il sequestro citando sostanze, rilevate nei terreni e comunicate dalla stessa azienda nel 2013, che nemmeno fanno parte del ciclo produttivo dello stabilimento”.

“Per i nitroalogeniderivati vi è poi la certezza di una presenza dovuta all’incidente della Rimar degli anni Settanta e non correlate all’attività produttiva allora in corso. Non si comprende come tutto questo avrebbe dovuto influenzare il rilascio dell’Aia visto che, tra l’altro proprio in quella occasione, si rilevava la presenza di sostanze e anche di Pfoa a monte idrogeologico dello stabilimento, evidentemente dovuto ad altre fonti di contaminazione. Non si comprende nemmeno quale sia il fine vero di questi attacchi continui che si basano su dati falsi o dolosamente distorti, imputando ad azienda, enti e autorità errori ed omissioni che nascono solo dalla evidente malafede o superficialità di chi ha attuato questa campagna diffamatoria smentita dai fatti”.