“Verità e giustizia per Danilo Rihai: servivano cure, non repressione”. Giovedì un presidio


Riceviamo e pubblichiamo il comunicato diffuso dal Collettivo Rotte Balcaniche e dai centri sociali Django di Treviso e Arcadia di Schio, sul suicidio in carcere di Danilo Rihai, il giovane tunisino arrestato dopo un pomeriggio di caos e tentate rapine in centro a Vicenza.
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L’ultima volta che un ragazzo si era tolto la vita in un carcere minorile era il 2003, 22 anni fa. E non è un caso che accada ora, dopo il decreto Caivano del governo Meloni. Con questo decreto, nelle carceri minorili italiane si registra un sovraffollamento inedito e l’adozione di un paradigma sempre più punitivo anche per i minori detenuti. E non è un caso che succeda a Treviso, l’istituto più sovraffollato d’Italia, dove si sfiora il doppio delle presenze rispetto alla disponibilità di posti.
Danilo Riahi era un ragazzo tunisino, arrivato da un anno in Italia attraverso il Mediterraneo. È morto il 13 agosto all’ospedale Ca’ Foncello dopo essere stato rinchiuso pochi giorni prima nel carcere minorile di Treviso. Il 9 agosto Danilo era stato arrestato in seguito a vari tentativi di furto a Vicenza, dopo essere fuggito dalla polizia in evidente stato di agitazione. Immobilizzato con il taser, veniva portato nel carcere minorile di Treviso, dove poche ore dopo, secondo la versione dei giornali e delle autorità, avrebbe tentato il suicidio.
Danilo aveva sognato di venire in Italia per costruirsi un futuro, una vita degna e libera, ma quel sogno si è infranto troppo presto, in carcere. Questo comunicato nasce dall’urgenza di fare luce su una vicenda drammatica che rischia di essere oscurata e ridotta a un racconto distorto e parziale: un presunto “eccellente lavoro” delle forze dell’ordine, una morte troppo in fretta derubricata a fatalità. Vogliamo stare vicino alla famiglia – che, residente a Tunisi, ha ricevuto dalle autorità informazioni molto scarne sulla morte del figlio – e accompagnare il loro dolore, ma anche indicare le evidenti responsabilità su quanto accaduto, per far sì che simili tragedie non si ripetano.
Morto il 17enne che ha seminato il panico in centro: aveva tentato il suicidio in carcere
In questa vicenda un aspetto fondamentale è stato cancellato dalla narrazione mediatica: quello della condizione psicofisica in cui si trovava Danilo. Appare evidente dalla descrizione dei fatti che il ragazzo si trovasse in un grave stato di crisi psicologica. Una situazione che richiedeva cura, non repressione. Come mai è stato portato in un carcere minorile invece che in un ospedale? È stato visitato dopo essere stato colpito con il taser? Cosa (non) è stato fatto per accertarne le condizioni di salute psico-fisica prima di rinchiuderlo in un carcere? Per quanto tempo è stato privo di sorveglianza mentre tentava il suicidio?
Le autorità dovranno rispondere delle loro azioni e delle loro omissioni, perché troppi punti di domanda rimangono aperti. Adesso pretendiamo verità e giustizia: vogliamo sapere esattamente che cosa è successo al momento dell’arresto, in carcere, in ospedale, perché un ragazzo di diciassette anni è morto mentre si trovava sotto la custodia dello Stato. Dalla questura di Vicenza alla polizia penitenziaria di Treviso, fino agli operatori dell’ospedale: chi ha avuto un ruolo in questa vicenda deve assumersene la responsabilità. Chiediamo inoltre che siano effettuate approfondite indagini sul corpo di Danilo prima che venga rimpatriato in Tunisia, come già richiesto dall’avvocato della famiglia.
Troviamo ancora più sconvolgente che, proprio mentre Danilo era ricoverato in ospedale in fin di vita, il Questore di Vicenza abbia convocato una conferenza stampa per elogiare il “lavoro encomiabile” degli agenti. Un gesto che mostra quanto sia radicata la logica della disumanizzazione: un ragazzo in fin di vita sparisce di fronte all’occasione per celebrare l’efficienza repressiva.
Questa storia non è e non può essere archiviata come una “piccola storia ignobile”, perché è una storia che parla delle migliaia di ragazzi che come Danilo vivono le nostre città, costantemente etichettati come soggetti pericolosi “delinquenti”, “maranza”, per giustificare la sempre maggiore militarizzazione della vita sociale. Come hanno dimostrato i commenti sui social alla morte di Danilo, diventano il capro espiatorio per sfogare odio e violenza. È la fiamma razzista su cui soffia questo governo, per creare consenso attorno all’emergenza sicurezza mentre definanzia il sistema d’accoglienza, istituisce le zone rosse, facilita la carcerazione preventiva dei minori, taglia la spesa sociale.
Ricordiamo Danilo ma ricordiamo anche Ramy, Moussa, Wissem, e tutte le vittime del razzismo di stato, della violenza della polizia, delle carceri, dei Cpr. La storia di Danilo ha avuto un epilogo tragico, ma sta a noi non farla finire qui. Chiediamo con forza verità e giustizia, che vengano aperte delle indagini serie sulla sua morte e su tutto quello che l’ha preceduta. Invitiamo tutte e tutti a scendere in piazza con noi giovedì 28 agosto, ore 19, fuori dal carcere di Treviso.
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