Il feretro di Pablito trasportato dai Campioni del Mondo ’82. “Hai portato armonia nelle vite di molti”

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Alle 10.17 la bara di Paolo Rossi è entrata nel Duomo di Vicenza, trasportata a spalle da alcuni tra i Campioni del Mondo di Spagna ’82. La cerimonia solenne è stata preceduta da testimonianze e tributi alla memoria di “Pablito”, dopo che il presidente Figc Gabriele Gravina ha deposto una maglia azzurra della Nazionale. Ovviamente con l’indelebile numero 20 di “Pablito” stampato sul dorso. Sotto l’altare, la moglie Federica Cappelletti e le figlie Sofia Elena e Maria Vittoria – che hanno deposto una rosa sul feretro nel corso della cerimonia, insieme alla mamma – e il figlio maggiore Alessandro, avuto dal primo matrimonio con la vicentina Simonetta Rizzato. Al termine del rito risuonano le campane di Vicenza, le urla “Pablito-Pablito” e gli applausi prolungati della gente comune hanno sancito davvero il “triplice fischio” di un’immensa storia di sport e di vita chiamata “Paolorossi”, tutta d’un fiato. E in questi giorni di sospiri profondi.

Solo in 250 hanno potuto varcare la soglia del Duomo, sabato mattina, in ragione dell’emergenza sanitaria. Mentre tanti cittadini e tifosi vicentini, nonostante l’appello del sindaco di ieri, si sono assiepati all’esterno dell’area transennata, tra i colori biancorossi di maglie e sciarpe e qualche coro della Curva Sud. Un grande striscione ha accolto il carro funebre, lo stesso che ha scortato il bomber biancorosso – morto a 64 anni per le conseguenze di un male incurabile – nel cuore della città ieri sera, quando un capannello di tifosi fuori dallo Stadio Menti ha riservato il proprio omaggio da brividi con fumogeni e inni. “La società farà qualcosa insieme al Comune per onorarlo al meglio, – ha detto Stefano Rosso, presidente del Lanerossi Vicenza di oggi – è una promessa”.

Paolo Rossi stesso aveva scelto la “sua” Vicenza, da cittadino onorario della città e ambasciatore della squadra biancorossa, per assistere dal cielo ai volti commossi, agli occhi bagnati di lacrime e ascoltare le voci e le preghiere che lo hanno ricordato oggi come persona umile, mite ed equilibrata, cultore dell’arte, amante della natura e in particolare delle sua tenuta in Toscana oltre che del calcio, dei calciatori, dei tifosi e dei sogni. Come il suo, il prezioso desiderio di un bambino mingherlino di Prato che dai campi di parrocchia ha costruito con i gol e la tenacia la sua parte di impresa, conquistando metaforicamente il mondo, e unendo gli italiani tutti come solo lo sport e mai la politica sa fare.

Il primo saluto e ricordo è stato portato da un ragazzo, figlio di un compagno di squadra di Rossi ai tempi del Vicenza, a nome della Comunità Giovanile San Michele di Firenze. Poi uno dei momenti più toccanti, con l’incipit della poesia “La morte non è niente”, recitata dal giornalista Fabio Guadagnini, ex collega del “secondo” Paolo Rossi commentatore e opinionista Sky, ma soprattutto tra i suoi amici più intimi. “Ti dobbiamo ringraziare – ha detto fissando a lungo la bara – per quello che ci hai dato, per quello che tutti voi ci avete dato, in quel 1982. Ci avete fatto capire che c’è sempre la possibilità di poter dare sempre una risposta, e di portare l’armonia nelle nostre vite. Ho provato ad immaginarti qui al mio posto, ti saresti scusato del tempo che ti stiamo dedicando ma ci avresti ringraziato, sorpreso e insieme orgoglioso di questo mare di stima, di messaggi e di attestati che hanno circondato te e la tua famiglia”.

“Avresti ribadito che se credi in un sogno lo devi seguire – ha proseguito il giornalista – mettere tu tutto te stesso e farlo diventare realtà. E che, infine, senza famiglia non si è nessuno e che bisogna sempre far squadra, senza mai mollare. Tu, come sui campi di calcio, non hai mollato fino all’ultimo anche contro l’avversario più duro e implacabile“. Dopo di lui, il socio e amico di lungo corso Luigi Pelaggi, “Non ho perso solo un compagno di squadra ma un amico, di quelli che trovi sul tuo cammino e rimangono per sempre”, e Antonio Cabrini, portavoce di quel gruppo formidabili che seppe emergere dal fango conquistandosi la gloria sportiva eterna. “Sono quelli come te che rendono bello il sentimento dell’amicizia – questo un passaggio del suo ricorso -. Sappi che non ti lascio andare, sarai sempre dentro di me, ti prego rimani a vicino a tutti noi”.

Tanti i campioni del calcio italiano di oggi e di ieri seduti sui banchi della Casa del Signore del centro storico berico, riconoscibili a stento sotto le mascherine. Da Roberto Baggio, accompagnato dalla moglie Andreina, a Paolo Maldini in rappresentanza del Milan, dall’amico di sempre Marco Tardelli anche lui tra gli eroi del mondiale di Spagna e a quasi tutti i fautori dell’impresa “Mundial” – assente il capitano Dino Zoff, per motivi di salute – che si sono ritrovati ancora una volta per un nuovo momento triste, dopo gli addii a Gaetano Scirea, morto prematuramente a 36 anni, ed Enzo Bearzot, l’allenatore e “l’architetto” che costruì quella memorabile Italia. E che seppe credere in Paolo Rossi, testardamente e contro tutti, fino alla sua consacrazione, al Pallone d’Oro, ai titoli di capocannoniere della serie A e dei Mondiali, la Coppa dei Campioni e gli scudetti. Gli amori, i figli, i progetti di lavoro, gli alti e bassi della vita. Senza mai perdersi di vista di fronte allo specchio. Dote rara, riconosciuta da tutti nelle parole ascoltate oggi.

Alessandro Altobelli, Franco Causio, “Nanu” Galderisi, Giuseppe Dossena, “Lele” Oriali, Antonio Cabrini, Bruno Conti, “Beppe” Bergomi, Giancarlo Antognoni, Fulvio Collovati, Claudio Collovati, Franco Baresi, Giovanni Galli, Gianpiero Marini, Ivano Bordon, Pietro Vierchowod e via dicendo. Nomi di rappresentativi di un’epoca. Nel Duomo di Vicenza sono stati inquadrati i volti affranti di tante glorie del calcio italiano, ciascuna legata da un rapporto d’amicizia speciale con Paolo Rossi a giustificare la loro presenza. Tra i vicentini, oltre a Baggio, anche “Toto” Rondon. Tra le autorità pubbliche oltre al sindaco di Vicenza Francesco Rucco il sottosegretario al Ministero dell’Interno Achille Variati. Per il club Lr Vicenza, come menzionato, il presidente Stefano Rosso. A celebrare le esequie don Pierangelo Ruaro, sacerdote vicentino grande appassionato di pallone, su indicazione del vescovo mons. Beniamino Pizziol che stamattina ha benedetto la salma del campione in forma privata. Il celebrante, durante l’omelia, ha attinto da un passo del Vangelo di Matteo per descrivere il compianto azzurro, “semplice come una colomba, astuto come un serpente“.