Il territorio tra storia e paesaggio: l’arte del documentario secondo Andrea Colbacchini

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Storia, territorio e paesaggio: è il trittico con il quale si può riassumere l’attività di Andrea Colbacchini. Che si tratti di raccontare l’Alto Vicentino, il Sudamerica oppure l’Africa, la commistione di quei tre elementi rappresenta la “stella polare” che guida costantemente la realizzazione dei suoi documentari. Una carriera, la sua, iniziata nel 2013, e premiata con i riconoscimenti ottenuti sui prestigiosi palcoscenici del Trento Film Festival e del Ram Festival di Rovereto. Un personaggio che non poteva sfuggire alle “grinfie” di Mariagrazia Bonollo e Gianni Manuel, che lo hanno intervistato ai microfoni della rubrica di Radio Eco VicentinoParlami di Te“.

Con un diploma di liceo scientifico e una laurea in Storia moderna e contemporanea all’attivo, Colbacchini coltiva fin da piccolo la passione per i documentari: “Da bambino guardavo i documentari di Quark – racconta – e volevo fare quello che riprendeva la gazzella e il leone”. Un’infatuazione alla quale si abbina quella per il videomaking: “A 12 anni rubavo la telecamera a mio padre – confessa -, e giravo dei gialli con alcuni amici”.

È dunque dal connubio tra queste due passioni che nasce il suo primo documentario, incentrato sull’Altopiano dei Sette Comuni: “L’ho pensato nel 2012, dopo la laurea – spiega Colbacchini -. Le riprese sono state fatte nel 2013 ed è uscito nel 2014. Sono sempre stato appassionato di montagna, e ad un certo punto ho deciso che parlare di malghe poteva essere un buon modo per restituire alla montagna ciò che essa mi dava. Cioè tante emozioni, la possibilità di lasciare a valle alcune problematiche della vita quotidiana”.

Il territorio vicentino è stato protagonista anche del documentario “Leogra. Eredità di un paesaggio“, uscito dopo una lavorazione protrattasi dal 2017 al 2021 e che ha ricevuto più riconoscimenti: “È stata un’esperienza molto interessante – continua -, nata grazie ad alcuni amici allevatori della Val Leogra che mi avevano contattato per fare delle interviste in merito ai risultati ottenuti grazie ad un fondo europeo. E lì mi si è accesa una lampadina. Ho pensato di andare ad indagare fino a dove arriva il forte legame con il territorio”.

“Tutta la mia ricerca si basa sul paesaggio“, conferma Colbacchini. Con una predilezione per “il rapporto tra il territorio e le persone che ci lavorano e ci vivono, la forte tensione che esiste tra la capacità dell’uomo di modificare il territorio e quella della natura di riprendersi ciò che è stato modificato“. Una “bussola” che, indubbiamente, guiderà la realizzazione dei suoi nuovi documentari, tra progetti in lavorazione (il fiume Isonzo come confine culturale e storico) e sogni nel cassetto (il Canada). Il tutto all’insegna di una sua precisa convinzione: “Mi piace pensare di arrivare in un posto perché è il posto che mi chiama”.

Gabriele Silvestri

 

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