Omicidio di Villaggio Giardino: la vittima e i killer vivevano insieme in un furgone abbandonato

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Il cortile (da immagine google maps) dove da qualche settimana si trovava il furgone/casa che ospitava quattro connazionali

Si avvicinano ormai alla conclusione le indagini intorno al delitto di Villaggio Arzignano, vale a dire il pestaggio di Lakwinder Singh, picchiato a sangue e “scaricato” dai suoi stessi amici oltre un muretto a bordo strada, lunedì sera ad Arzignano, già in fin di vita. Gli antefatti di tanta violenza consistono, ormai questo tassello è stato accertato, in una incosciente sbornia finita male, mentre i tre si erano incamminati verso il rifugio che da tempo condividevano appena un centinaio di metri più in là, in un furgoncino dismesso.

Trovano infatti conferma le indiscrezioni delle prime ore che indicavano nei “conviventi” della vittima – è morto in ospedale tre ore dopo il ricovero a causa delle lesioni interne  al capo provocate dalle botte – i presunti autori del pestaggio spietato, a tutti gli effetti con i contorni di un omicidio preterintenzionale.

Hanno agito in coppia i due cittadini indiani che vivevano ad Arzignano nel cortile di un condominio in condizioni precarie, alla stregua di homeless. Smentita invece la versione secondo cui il corpo del 37enne fosse stato scaricato da un veicolo in corsa, grazie alla riprese delle telecamere della zona, le stesse che hanno indirizzato i carabinieri e il nucleo investigativo provinciale verso i presunti assassini. Connazionali asiatici che avevano eletto come loro casa temporanea un giaciglio in un vecchio furgoncino, trovato dagli inquirenti in in uno spiazzo della palazzina e in condizioni indecenti dal punto di vista igienico sanitario.

Avevano condiviso tutto negli ultimi mesi, oltre alle comuni origini: le coperte con cui coprirsi, il tettuccio del mezzo in cui dormire, il cibo racimolato tra gli stenti e sì, anche le bevande alcoliche che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe fatto scattare la miccia di una violenza inaudita. Oltre a quel cognome stampato nei documenti di espatrio di tutti e tre, Singh, che in India è diffusissimo e quindi anche tra i membri della comunità che risiedono e lavorano (in gran parte) nelle aziende conciarie di Arzignano e limitrofi.

Lakwinder, 37 anni, il nome del “più debole”, devastato da una raffica di calci e pugni da cui non ha potuto difendersi. Da valutare se i colpo siano stati sferrati con l’aiuto di oggetti contundenti, considerazione che solo un’autopsia sulla salma – in programma tra oggi e domani – potrà confermare o smentire. Poi ci sono i due uomini le cui generalità sono state diffuse in seguito in stato di fermo, convalidato dal gip, vale a dire e Dalijt e Ranjet Singh, senza alcun legame di parentela, ad oggi con lo status di indagati, accusati con le spalle al muro da pesanti indizi di colpevolezza secondo quanto trapela da Arzignano.

Sull’asfalto ancora le tracce dei rilievi dei carabinieri (foto Marco Milioni)

Un quarto connazionale, invece, dopo aver raccolto più testimonianze da persone informate sui fatti, risulterebbe estraneo alla vicenda. Pur avendo condiviso fino a lunedì scorso almeno, con i tre amici, il giaciglio di fortuna ora lasciato vuoto e una vita paragonabile a quella dei senzatetto. Persone scomparse dagli elenchi dei lavoratori o dei residenti nella città e nei paesi vicentini, divenuti irreperibili dopo aver perso o non aver mai trovato quel lavoro agognato dopo aver lasciato la propria patria in cerca di fortuna, divenendo degli invisibili, vivendo di espedienti, di elemosina e a volte della solidarietà da parte di qualche membro della comunità locale che ha avuto più fortuna, appunto.