CineMachine | Rogue One: A Star Wars Story

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Mi dispiace per i fans di Star Wars che, uscendo dalla sala, saranno alquanto arrabbiati. Non perché Rogue One sia un film sgradevole, anzi, ma perché la domanda risuona spontanea: “Come fa uno spin-off come Rogue One ad essere migliore di un film della saga come Star Wars: Episodio VII?”.

Eppure la realtà è questa (almeno per il sottoscritto). Uscendo dalla sala mi sono ripetuto diverse volte che questo film fa di Star Wars: Episodio VII un mezzo fiasco e questo per una serie di motivi che non andrò a spiegare, ma potrete cogliere leggendo la recensione di Rogue One: A Star Wars Story  di Gareth Edwards.

Avvertenze: se non avete mai visto un film di Star Wars evitate di leggere questa recensione, perché vi saranno dei chiari riferimenti ai film contenuti all’interno della storia.

Ci troviamo esattamente tra l’episodio III e l’episodio IV della saga di Guerre Stellari. Ordunque Anakin Skywalker è divenuto oramai il terribile Dart Fener ed osserva la Morte Nera in fase di costruzione. Il suo ex-maestro Obi-Wan Kenobi, insieme a quasi tutta la famosa organizzazione dei Jedi, sono scomparsi. L’intero universo poggia inerme sotto la dittatura dell’Impero, ma c’è un’alleanza di ribelli che gli sta mettendo i bastoni tra le ruote e tra questi c’è la nostra protagonista con un passato tanto cupo quanto interessante, ovvero Jyn Erso (Felicity Jones) che insieme ad un gruppo di fantastici eroi, tra i quali il Capitano Cassian Andor (Diego Luna) e l’androide K-2SO (Alan Tudyk), recupererà i contatti con il suo passato per trovare i piani di costruzione della Morte Nera e rivelarne così il suo punto debole.

Una storia che potrebbe sembrare una mera spiegazione degli eventi che si concatenano tra l’episodio III e l’episodio IV, ma in realtà è molto più di questo.

Il regista Gareth Edwards, regista di quel piccolo capolavoro che è “Monsters”, parte in un modo alquanto sconclusionato e precipitoso, per poi riprendersi meravigliosamente, regalando una storia che sa intrattenere, sa posizionare in maniera ottimale i suoi personaggi e sa essere incisiva quanto basta, senza cadere nell’esagerazione. Insomma la giusta dose di azione e sopratutto la giusta dose nel modo in cui mettere in scena questa azione. I tempi sono quelli giusti come lo sono le scelte dei characters molto ben caratterizzati e che si evolvono in maniera ottimale all’interno della storia e non vanno troppo oltre le righe.

I momenti epici ci sono, a differenza di Star Wars: Episodio VII, e la storia lega molto bene le sequenze in cui le vecchie figure della saga riemergono preponderanti all’interno dei nuovi eventi di Rogue One. Non bastava solo metterli sulla scena e aspettarsi una reazione dal pubblico, ma bisognava dargli un nuovo respiro (mi riecheggia ancora in testa il respiro di Dart Fener) e questo film ci riporta realmente a credere nella Forza, allo scontro con il lato oscuro e alla grandissima forza che quest’ultimo possiede e quanto esso sia difficile da combattere.

Un film più partigiano che mostra anche una natura più infima della ribellione e che sa dare anche le sue giuste batoste al pubblico e forse è questo che rende il film davvero interessante.

Il controllo della computer grafica è stato ottimale nel complesso ed apre nuovamente il dibattito che si sta tuttora consumando sull’impiego delle tecniche grafiche per il ritorno sul grande schermo di figure emblematiche che lascio a voi scoprire quando andrete a vedere Rogue One: A Star Wars Story di Gareth Edwards. Forse l’appellativo di capolavoro calza stretto ad un film del genere, ma i capolavori nascono attraverso il tempo. Per ora accontentiamoci di dire che questo è un film che vale il prezzo del biglietto e che il regista Gareth Edwards ci continua a dimostrare la sua bravura.