Generazione Z – Viaggiare è vivere due volte. Episodio 2: Vienna sì, ma dove dormire?

Il mio viaggio in giro per le capitali europee: dov’eravamo rimasti? Ah, sì, la partenza da Padova in Flixbus, con destinazione Vienna. L’autista mi controlla il biglietto (sono uno di quelli che lo stampano ancora, forse sono antiquato, ma cosa succede quando la batteria è scarica o internet non prende?) e subito dopo mi metto comodo comodo al mio posto. Ho fortuna che il sedile accanto al mio è vuoto, come avevo pensato in precedenza: gli effetti del Covid-19 sul turismo e sugli spostamenti in generale si fanno sentire.

Il pullman è una Torre di Babele di lingue slave: serbo, ceco, albanese, russo. Capisco qualche parola qua e là visto che ho un paio di amici che provengono da quelle parti, però poco dopo mi addormento. Non dormo certo sonni tranquilli: a ogni buca o curva stretta mi sveglio di soprassalto, ma sono troppo stanco per pensarci e riprendo subito a dormire. Mi risveglio definitivamente a una quindicina di chilometri da Vienna: mi accorgo solo allora che le indicazioni stradali sono diverse e la lingua dei cartelli pubblicitari è un’altra, e io non spiaccico una parola di tedesco: so dire giusto “Halo, ich heiße Mohammed, wie heißt du?”, proprio due parole, per intenderci.

Il Flixbus si ferma, sono le 4 di mattina e io sono a Vienna: chi più felice (e distrutto) di me? Mi avvio verso la stazione della metro più vicina che per mio stupore è già operativa. Qui il sistema di controllo è come quello che trovai qualche mese fa a Berlino: non ci sono i tornelli perché il governo semplicemente “si fida” della sua popolazione: le uniche ispezioni vengono operate da controllori in borghese che da come scoprirò, girano un po’ dappertutto, senza ombra di avviso. Insomma l’invito è a farsi il biglietto e che alla fine i furbetti vengono beccati. Raggiungo il centro di Vienna verso le 5 e quello che vedo è in questa foto: la città deserta che si appresta ad abbracciare i primi raggi del sole.

Mi incammino, per far passare un po’ il tempo e mi imbatto nel Parlamento, dopotutto siamo in una capitale. Quello che più mi impressiona è la statua della dea greca della vittoria: Nike. Girando un po’ mi avvicino verso il fiume Danubio e in quel momento penso di averlo visto, solo più tardi scoprirò che era solo un torrente e il che il vero fiume Danubio non era esattamente dove mi trovavo. Aspettando decido di fare una lista dei monumenti e musei che visiterò: non possono mancare il Belvedere e Il Prater: un parco fuori città.

Il Parlamento austriaco

Ad un certo punto penso di avviarmi verso il posto dove dormirò e qui entra il discorso di dove dormire. Vi sarete chiesti in più di uno, “ma dove dorme questo disgraziato?” e mo’ ve lo spiego: nel lontano 2019, la mia insegnante di francese mi assegnò come compito una lettura in lingua su una comunità/rete sociale, che successivamente si è organizzata attraverso un sito web e un’app, come impongono i tempi che corrono. Il couchsurfing (questo è il nome del servizio di rete sociale) nacque nel 2003 come un progetto non-profit per collegare i viaggiatori di tutto il mondo. Il “gioco” consiste nell’ospitare uno/a sconosciuto/a nella propria dimora, facendolo dormire nel proprio “couch”, che in inglese vuol dire “divano”, da cui il nome couchsurfing, il tutto senza chiedere neanche un centesimo: cioè fare surf sui divani, in altre parole spostarsi da un divano all’altro, da appartamento all’altro, da continente all’altro.

L’altra faccia della medaglia è chiaramente la possibilità di essere ospitati da uno/a sconosciuto/a, sempre se ci si fida: il sito e l’app danno anche la possibilità di lasciare una “recensione” alla persona ospitata o che ci ha ospitati e anche di verificare il profilo (per il costo di un abbonamento mensile in palestra), per la sicurezza di tutti gli utenti. L’obbiettivo del progetto è favorire lo scambio culturale, e aprire gli occhi a tanta gente, e vi assicuro che servirebbe a più di qualcuno.

Non è stato facile trovare qualcuno che fosse disposto ad ospitarmi, per via del fatto che sono un uomo e che il mio nome si porta dietro il peso di anni di pregiudizi: chiaramente ne sono consapevole, so già che non sarà facile, ma non demordo e mando richieste su richieste ad eventuali “host”. Chiaramente quando si fa una richiesta per essere ospitati, l’altra persona può semplice rifiutare, senza dare spiegazioni, in fondo il domicilio è inviolabile e non si è obbligati a ospitare sconosciuti in casa propria. Il tasso di accettazione per me si attesta intorno a una risposta affermativa per ogni 10 richieste fatte: quindi per ogni città mi adopero a fare 10-15 richieste.

Dopo qualche “no” e qualche mancata risposta, mentre ero ancora in Italia e cercavo un posto dove dormire nelle varie destinazioni, mi risponde positivamente un ragazzo di Vienna che vive con la madre. Identifico il ragazzo che mi ospita con il nome Kevin (per sua privacy): lui è mezzo tunisino, mezzo austriaco (piccolo il mondo vero?). Kevin ha 24 anni e mi fa avere l’indirizzo qualche giorno prima del viaggio. Prima di raggiungere la sua abitazione, mi procuro dei fiori come regalo anche per ritardare l’arrivo da lui: dopotutto sono le 7:30 del mattino e ho paura sia ancora a letto.

Finalmente è il momento della verità: scovo l’appartamento, molto vicino alla Banca d’Austria e trovo anche il campanello, qualche minuto di attesa e si apre il portone: mille domande mi affollano la mente, chissà se sarà simpatico, disponibile e avrà tempo per me. Tutto si esaurisce quando Kevin compare alla porta; un po’ mi assomiglia devo dire: il colore di pelle e dei capelli è simile, ma è molto più corpulento di me. È molto calmo, quasi controllato: si presenta e mi invita a salire in appartamento. Due piani di scale mi separano da quella che sarà la mia dimora per i successivi tre giorni. Alla porta c’è la mamma di Kevin che si presenta: il suo inglese ha un forte accento tedesco, però ci capiamo, avrà qualche anno in meno di mia madre ma ne dimostra qualcuno in più (il lavoro non perdona, penso tra me e me). Mi invitano a entrare e io, dopo un italianissimo “permesso? (a quanto pare siamo gli unici e chiedere se si può entrare come forma di cortesia), varco la porta.

E qui finisce la puntata di oggi, qualche spiegazione di troppo forse, però bisognava rendere chiare le cose. È tutto, alla prossima!!

Mohammed Sadiq (Instagram: @momothalegend)

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