Morì sul tetto per un colpo di calore: il gip archivia, la famiglia chiede la riapertura del caso

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Foto d'archivio

“Dalla famiglia si alza un grido di dolore e disperazione per una decisione ritenuta ingiusta”. Con queste parole l’avvocato Adriano Caretta di Vicenza, che assiste i famigliari della vittima, si è rivolto direttamente al Procuratore Capo di Vicenza Lino Giorgio Bruno per chiedere la riapertura delle indagini sulla morte – per un colpo di calore – di un lavoratore di soli 24 anni.

Andrei Gutanu, apprendista muratore di 24 anni, morì in una torrida giornata di fine giugno del 2019 sul tetto di un’abitazione di Marano Vicentino: fu colpito da un colpo di calore, dopo aver lavorato – come spiega un comunicato della Cgil di Vicenza – ininterrottamente per tre giorni consecutivi sul tetto di un’abitazione civile dove era allestito il cantiere edile della ditta Corte Costruzioni, per cui lavorava. In quei giorni era stata diramata l’allerta meteo per caldo torrido dalla Regione Veneto. Il terzo giorno il giovane è collassato a terra e dopo ulteriori tre giorni di agonia è morto. Le cause della morte, individuate dal medico legale che ha eseguito l’autopsia, facevano riferimento all’esposizione a elevate temperature ambientali sul luogo di lavoro.

Le indagini svolte dal servizio di prevenzione Spisal dell’Ulss7 Pedemontana non hanno però individuato responsabilità di terzi. Conclusioni su cui non concorda però l’avvocato Caretta che le considera “lacunose, insufficienti, e che non hanno tenuto conto delle circostanze di fatto e di rischio note e conosciute, hanno ignorato le prescrizioni di precise norme di sicurezza”. Per il legale, lo Spisal non ha considerato quanto prescrive il Piano di prevenzione nazionale degli effetti del caldo sulla salute e le linee di indirizzo emanate in questi casi dal Ministero della Salute, né avrebbe valutato l’adeguatezza del Piano operativo della sicurezza del cantiere tenuto conto dell’heat index (indice di calore) in uso presso i Servizi di Prevenzione e che indicava in quei giorni un rischio elevato, oltre ad altre prescrizioni raccomandate in queste situazioni. Da qui le conclusioni – giudicate errate – emerse dalle indagini. La Procura non è andata però nella stessa direzione e ha chiesto l’archiviazione, a cui però ora si è opposta la famiglia.

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza lo scorso giugno ha respinto la richiesta di indagini più approfondite. Una conclusione ritenuta inaccettabile dalla famiglia, perchè “la morte di un ragazzo di 24 anni, nel pieno delle sue forze e in quelle condizioni di lavoro, non ha una spiegazione plausibile e le responsabilità non sono state accertate con gli approfondimenti che il caso avrebbe meritato”. Ora, con l’istanza di riapertura delle indagini, l’avvocato pone l’accento anche sullo stillicidio quotidiano delle morti sul lavoro, “una piaga che affligge il Paese”  usando le parole del Presidente della Repubblica. “Il sistema normativo italiano in materia di sicurezza sul lavoro – afferma il legale – può essere considerato, a ragione, tra i più completi e avanzati del mondo occidentale. Il problema non è di norme che mancano o che sono inadeguate, il problema è che il sistema normativo sia affiancato anche da un sistema efficace ed efficiente di controlli e di repressione delle violazioni”. E conclude richiamando l’attenzione sul ruolo che è chiamata a svolgere la Giustizia affermando che non sarà possibile uscire da “questa spirale viziosa e tragica se accanto al patrimonio di conoscenze, esperienza, linee guida, norme cautelari, regolamenti e leggi, non manteniamo alta anche l’efficienza del sistema repressivo. Al contrario, la scarsa severità su eventi così drammatici contribuisce ad alimentare la cultura del facile profitto, della disorganizzazione, del disvalore della sicurezza, del disvalore del lavoro, del lavoro-sicuro”.