Contro gli svenimenti improvvisi di natura cardiaca a Santorso arriva l’ablazione d’avanguardia

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Sono state eseguite nei giorni scorsi presso la Cardiologia dell’Ospedale di Santorso, per la prima volta in un ospedale del Veneto, le prime procedure di ablazione dei gangli parasimpatici, una metodica innovativa che, in pazienti selezionati, consente di curare la cosiddetta sindrome vasovagale senza ricorrere all’impianto di pacemaker.

A spiegare di cosa si tratta è il dottor Giovanni Morani, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia dell’ospedale Alto Vicentino: “Il nervo vago trasmette l’impulso elettrico che regola la frequenza cardiaca, innalzandola o abbassandola in base agli stimoli elaborati dal sistema nervoso centrale. Uno stimolo eccessivo ad abbassare la frequenza cardiaca può appunto portare ad uno svenimento improvviso e quando questi episodi sono ricorrenti ci troviamo di fronte ad una vera e propria patologia, che sebbene nella maggioranza dei casi sia ad evoluzione benigna può essere invalidante e talora molto pericolosa perché gli svenimenti possono avvenire in qualsiasi momento, anche mentre si è alla guida per esempio”.

Il primo passo nel percorso di presa in carica prevede l’effettuazione di uno specifico esame – chiamato ‘tilt test‘ – per verificare la causa prevalente dello svenimento. “Questo fenomeno – prosegue Morani – può avere una prevalente componente vasodepressiva, ovvero uno spiccato abbassamento della pressione, oppure, una prevalente componente cardioinibitoria con talora arresto del battito anche di 20-30 secondi. Ne segue, chiaramente, la sincope. Non vi è ancora una terapia farmacologica efficace e consolidata, la profilassi comportamentale è di fondamentale importanza”.
Nei casi più gravi e refrattari si ricorre all’impianto di pacemaker, in grado di regolarizzare il ritmo cardiaco, che nei pazienti più giovani si cerca in realtà sempre di evitare in quanto presenta alcune controindicazioni: “Innanzitutto vi è una questione estetica, perché il pacemaker si vede, inoltre è una procedura che comporta comunque un certo rischio di infezioni, e nel caso di pazienti giovani in prospettiva ci sarà la necessità di sostituirlo”. Ne consegue che spesso il problema sincope neuromediata non trova facili soluzioni, con importanti ripercussioni sulla qualità di vita del paziente.

Da qui l’adozione di una metodica innovativa alternativa, che va al cuore del problema: “Mappiamo l’area intorno alla vena cava nella quale hanno sede i gangli parasimpatici, ovvero il fascio di nervi che trasmettono al cuore il segnale che regola la frequenza cardiaca. Qui identifichiamo con estrema precisione il punto esatto in cui ha origine la stimolazione vagale che genera il fenomeno elettrico e lo neutralizziamo mediante l’ablazione, ovvero con un fascio di energia estremamente concentrato e preciso su un’area che può essere grande pochi millimetri. In questo modo cambiamo i parametri elettrici del cuore, ottenendo un ritmo leggermente più accelerato, tale da rendere il paziente meno soggetto a improvvisi cali del ritmo e quindi agli svenimenti. La procedura avviene per via transcatere accedendo dalla vena femorale, dunque senza alcun tipo di incisione, e al termine inseriamo sottopelle un piccolo registratore della frequenza cardiaca per verificare a distanza di tempo l’effettiva efficacia della procedura. Finora abbiamo eseguito questa procedura su due pazienti, con risultati molto positivi”.

La procedura viene eseguita dall’equipe guidata dal dottor Morani, il dottor Giampaolo Berton e il dottor Antonio Pepe. Proprio Berton l’ha di fatto “importata” all’ospedale di Santorso dopo avere trascorso, durante la specializzazione, un’esperienza di sei mesi presso Policlinico Casilino di Roma, il centro che l’ha adottata per la prima volta in Italia e che vanta tutt’ora la maggiore casistica a livello nazionale: “Avevo scelto il Casilino per approfondire l’utilizzo degli impianti di pacemaker e la cura delle aritmie e lì ho avuto esperienza diretta di questa metodica e ne ho constatato l’efficacia. È una procedura ancora poco diffusa perché vi sono ancora poche pubblicazioni scientifiche ma la sua efficacia è indubbia e talvolta è l’unica strategia per rivolvere questi sintomi così particolari, evitando un intervento invasivo e permanente come l’impianto di pacemaker”.