“Fai vivere mio papà con te”: l’incontro di Maura con la famiglia del suo donatore

Ascolta l'audio
...caricamento in corso...

Ha incontrato la famiglia del suo benefattore, la scledense Maura Fontana, pluriricevente di organi 19 anni fa. La sua lettera a Giò (il suo donatore di reni e pancreas), che pubblicammo in gennaio, fu ripresa dagli organi di comunicazione dell’ospedale Niguarda di Milano (dove avvenne in trapianto) e da un giornalista di Pavia, il cui articolo fu letto dai figli del suo donatore: capirono che si trattava proprio del padre – Salvatore Traina, un poliziotto – e riuscirono a mettersi in contatto con Maura. Dopo una serie di scambi di messaggi e telefonate, ieri si sono incontrati. Ecco il bellissimo racconto di questa giornata. 

 

Caro Giò, non pensavo che ti avrei riscritto tanto presto. Ancora grazie di questa nostra meravigliosa avventura e la grande bellezza che hai lasciato in eredità a tutti noi. Già, perché non avrei mai immaginato che oltre alla vita – la mia seconda – che con la donazione dei tuoi organi hai reso possibile, tu mi lasciassi in eredità anche i tuoi affetti, la tua famiglia! Entrare nella tua casa, abbracciare tua moglie ed i tuoi figli, ragazzini allora ora adulti – madri e padri a loro volta – con anime di incredibile spessore e sentirmi “a casa” è stata le seconda più grande emozione della mia vita.

Lacrime ed abbracci, parole sussurrate con amore e rispetto profondi e profonda gratitudine da ambo le parti, erano ancora una volta un inno alla vita. Ne sono certa – non temo ammetterlo – che in qualche modo, da lassù, tu hai fatto in modo che quanto è accaduto, accadesse. Lo dico con tutta la “razionalità” che mi contraddistingue e che ha caratterizzato la mia vita, dagli studi scientifici all’inserimento lavorativo.

Al nostro anniversario di vita, il 9 gennaio di quest’anno, scrissi “Una lettera di Vita lunga 19 anni…” per ricordarti ancora una volta con amore e gratitudine. Scrissi in quella lettera: “Magari i tuoi famigliari non leggeranno mai questo post…” – che in realtà poi fu pubblicato on-line e in cartaceo da varie testate – invece lo lessero, e mi contattarono via mail.

La prima mi fermò quasi il cuore, le altre me lo colmarono di un amore ancor più grande. “Buongiorno Maura, mi chiamo Muriel ho 34 anni e sono la figlia del suo Giò… inizialmente non pensavo potesse capitare a noi una cosa cosi bella come quella che ha reso possibile Lei pubblicando i suoi pensieri. Mia mamma è fortemente emozionata e ancora non ho capito se vuole contattarla, è molto sensibile, e anche mio fratello che era in macchina con mio padre il giorno dell’incidente, è di difficile interpretazione su questo argomento. E’ stata lunga la strada per affrontare l’accaduto e ognuno di noi ha elaborato il lutto in maniera diversa. Io sinceramente sono rimasta talmente colpita dalla bella persona che è, che non potevo e non volevo rimanesse senza risposta al suo gesto, che mi rende orgogliosa e felice di essere la figlia del suo Giò che in realtà si chiama Salvatore”.

Rispondo con commozione ed infinito garbo, come una tale circostanza esige. I sentimenti, i ricordi, il dolore riemerso di un evento così tragico e devastante, hanno bisogno di essere affrontati con delicatezza ed amore infiniti. Seguono altre mail di Muriel e di Lidia Bettoni, la moglie di Salvatore, Salvo, in famiglia. Poi mi scrive Daniel, il figlio, che era in macchina con il papà il giorno dell’incidente.

“Carissima Maura, buongiorno e se mi permetti, ciao Maura. Ho letto le mail che hai scritto a Muriel, non so se per paura o felicità di scriverti ho aspettato a farlo. Quando ho letto lo scritto su Facebook mi si è stretto il cuore, non sapevo che fare, ero come paralizzato. Anche adesso vorrei scrivere mille cose, ma non riesco. Ciò che mi rende davvero felice è che tu stai continuando a far vivere mio papà con te, non credevo sarei mai riuscito a sapere ed addirittura scrivere a chi avesse ricevuto gli organi. Ora è un susseguirsi di sensazioni ed emozioni per me, che sono restio a far intravedere certi miei stati d’ animo”.

 

Salvatore Traina era un agente della polizia di Stato, di Catania, lavorava nella Questura di Pavia. A lui e alla sua meravigliosa famiglia – che ho finalmente incontrato e conosciuto – devo la mia vita e tutta la gioia che metto in ogni mio giorno per onorare questo dono.

Vorremmo comunque, Salvatore, io e la sua famiglia, affidarvi un importante monito: non cercate di sapere convulsamente, ossessivamente, chi sono donatore e ricevente, è sbagliato, non è questo il senso insito nella donazione. Nessuno di noi ha mai voluto sapere in tutti questi anni chi e come e cosa. Tutto è accaduto per caso – poteva essere anche mai – nei tempi e nei modi che il destino o la fatalità, voleva fossero rispettati. Il solo sentimento da ambo le parti era che tutto era avvenuto per amore della vita.

L’atto d’amore che viene espresso con il dono degli organi è una forte testimonianza di vita che sa guardare al di là della morte. Tutti noi trapiantati siamo destinatari di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceviamo, infatti, prima ancora di un organo -o due come nel mio caso- è una testimonianza di amore che deve suscitare da parte nostra una risposta altrettanto generosa, grata e amorevole verso gli altri e la vita.

Maura Fontana