Impianti sciistici chiusi fino al 5 marzo, Zaia: “Subito ristori ed indennizzi”

La nuova seggiovia a sei posto sul Monte Verena, foto Facebook Sky Area Monte Verena

“Prendiamo atto della ordinanza del ministro Speranza che fa slittare la chiusura impianti sci fino al 5 marzo. Pur considerando che la salute dei cittadini viene prima di tutto, è innegabile che questo provvedimento in zona Cesarini mette in crisi tutti gli impiantisti”. Lo ha affermato in serata il Presidente del Veneto Luca Zaia, dopo che si è diffusa la notizia dello stop all riapertura delle piste innevate fino al 5 marzodata di scadenza del Dpcm 14 gennaio 2021.

La decisione del Ministro, legata al rischio concreto di una terza ondata provocata in particoalre dal rischio-varianti e al peggioprasmento della situazione complessiva dell’epidemia in Italia. Una decisione che però mette definitivamente a terra le speranze di un intero settore, e ancora una volta chi ha fatto investimenti fidandosi delle regole scritte dal governo si trova spiazzato all’ultima ora da un improvviso dietro front.

“Il provvedimento – spega il ministero – tiene conto dei più recenti dati epidemiologici comunicati venerdì 12 febbraio dall’Istituto Superiore di Sanità, attestanti che la variante inglese, caratterizzata da maggiore trasmissibilità, rappresenta una percentuale media del 17,8% sul numero totale dei contagi”.

“In Veneto – commenta Zaia – io avevo firmato un`ordinanza che decretava il via dal 17. Per cui tutti gli operatori avevano già predisposto ogni cosa: erano state preparate le piste, i rifugi erano già pronti ad accogliere. E avevamo previsto di aprire al 30 per cento, rispettosi delle regole di salute pubblica. Certamente il provvedimento mette in difficoltà tutti coloro che si erano adoperati per una stagione che non è mai iniziata e che ora devono addirittura sobbarcarsi i costi di un riavvio che ormai non ci sarà fino al 5 marzo. Il danno è quindi ancora più pesante”.

“Bisogna pertanto – prosegue Zaia – provvedere a ristorare ampiamente una economia fondamentale per le nostre zone montane, una economia che è fatta anche di stagionali e di persone che lavorano nel mondo ampio del settore dell`ospitalità. Parliamo di un settore praticamente massacrato: su 65mila posti di lavoro persi, ben 35 mila sono del settore turistico. E il turismo è la prima industria del Veneto con 18 miliardi di fatturato. Prendo dunque atto, ripeto, di un provvedimento che arriva molto, troppo tardi, superando ampiamente anche i tempi supplementari.  Bisogna dunque provvedere immediatamente ai ristori, ma anche indennizzi per il danno ricevuto. Siamo infatti tutti convinti che la salute sia un bene assolutamente primario: ma non possiamo continuare ad assistere a questo balletto di dichiarazioni, col Cts che prima dice che possono essere aperte le piste da sci e poi una dichiarazionemediana che esprime preoccupazione fino al niet finale. Così è impossibile programmare alcunché”.

Intanto si scatena la polemica su quanto dichiarato oggi dal consigliere del ministro della Salute, Walter Ricciardi, che ha annunciato l’intenzione di chiedere al ministro “un lockdown totale in tuitta lìItalia”. Parere condiviso anche dal professor Andrea Crisanti, microbiolgoo dell’Università di Padova: “Un lockdown nazionale? È quello che ho detto anche io. Fra una settimana la variante inglese si diffonderà a una velocità senza precedenti e qui si parla di riaprire tutto” ha diochairato oggi all’agenzia Adn Kronos. “C’è un totale scollamento tra quelle che sono le aspirazioni della gente, come vengono interpretate dalla politica, e quella che è la realtà. Ancora non ci siamo allineati con l’esigenza di fermare il contagio. La variante inglese è già nel 20% dei casi in Italia – ricorda Crisanti – Il vero problema è che manca un piano nazionale di sorveglianza delle varianti. Se una variante emerge in qualche posto c’è solo una cosa da fare: non la zona rossa come quella di ora ma una zona rossa come era quella di Codogno. Per impedire che si diffonda non ci sono alternative. La variante inglese è destinata ad aumentare. In tre settimane è passata da meno di 1% al 20%, è quella che diventerà predominante nel nostro Paese”.