Scuole al via, la maestra scrive: “Ragazzi, serve ognuno di voi: non esiste gerarchia tra sogni”

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Nota della redazione
Riceviamo e pubblichiamo con grande piacere questa lettera che arriva da Montecchio Maggiore. Una maestra oggi in pensione, che ha voluto condividere con i lettori un messaggio di augurio e riflessione in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico. Le sue parole, intrise di esperienza e affetto, ci ricordano il valore profondo della scuola come luogo di crescita, accoglienza e comunità.

Cari ragazzi, cari insegnanti, care famiglie,
domani si riaprono i cancelli della scuola, e anche se io non varcherò più quella soglia con il registro sotto braccio, il mio cuore ci entra lo stesso. Perché una maestra lo è per sempre. Non per mestiere, ma per vocazione. E oggi, come altre volte in passato, sento il bisogno di scrivervi, di augurarvi un buon inizio, ma anche di lasciarvi qualche pensiero che viene da una vita intera tra banchi, quaderni e volti che mai dimentico.
La scuola di ieri aveva il profumo del gesso e delle cartelle di cuoio, dei grembiuli stirati e delle merende semplici. Era fatta di sguardi attenti, di rispetto quasi sacro per chi insegnava, e di una comunità che si stringeva attorno ai suoi bambini. Oggi è diversa, certo: più veloce, più complessa, più esposta. Ma il suo compito non è cambiato. Deve essere, oggi più che mai, un luogo di accoglienza vera. Non solo per chi è “bravo”, non solo per chi è “facile da gestire”, ma per ogni ragazzo, con le sue fragilità, le sue domande, i suoi silenzi.

Essere insegnanti non è un lavoro. È una missione. E non è per tutti. Richiede pazienza, dedizione, amore profondo per l’essere umano in divenire. Richiede occhi che sanno vedere oltre il voto, oltre la difficoltà, oltre la maschera che ogni ragazzo a volte indossa per proteggersi. Non servono guru della didattica, né giudici severi. Serve il ritorno alla semplicità delle discipline, alla bellezza di una poesia letta insieme, di un problema risolto con pazienza, di una domanda lasciata aperta. Serve uno sguardo sul mondo, non per emettere sentenze, ma per insegnare ai ragazzi a osservare, a pensare, a scegliere.

C’è un verbo che mi piace sempre di più: accogliere. Accogliere significa ascoltare prima di giudicare. Significa creare uno spazio dove nessuno si senta fuori posto. E questo vale per tutti: per gli studenti, per gli insegnanti, per le famiglie. La scuola non può essere un campo di battaglia, né un tribunale. Non servono genitori che fanno capannello fuori dai cancelli per puntare il dito contro un ragazzo, un insegnante, una famiglia. Servono genitori che entrano con rispetto, che collaborano con fiducia, che comprendono che educare è un lavoro corale, che ha bisogno di serenità e di alleanza.

Ai ragazzi, infine, dico: non abbiate paura. Non temete il giudizio, né le difficoltà. Non è vero che dovete essere perfetti. Non è vero che dovete pensare solo al futuro. Vivete il presente con coraggio, con curiosità, con la voglia di scoprire chi siete. Perché ognuno di voi ha un valore unico. E non esiste gerarchia tra sogni: serve il falegname tanto quanto il chirurgo. Serve chi costruisce con le mani e chi cura con la mente. Serve tutto. Serve ognuno di voi. Vi auguro un anno pieno di scoperte, di errori che insegnano, di incontri che cambiano. E vi auguro di trovare, tra le pagine di un libro o tra le parole di un insegnante, un piccolo seme che un giorno diventerà il vostro albero.

Con affetto infinito,
maestra Maria Teresa