Lugo, il Cristo dei Lavoratori di un tempo, mutilato da ormai 35 anni

Un particolare da un'immagine di Devis Vezzaro - I Luoghi dell'abbandono

Un Cristo monco, senza braccia, che idealmente estende il suo abbraccio a tutta Lugo. Si trova in località Monte Cavallo e si staglia sulle colline osservando le Bregonze, le valli e la pianura, nella sua imponente malinconia: la statua, alta 3 metri e 30 centimetri su un basamento che fungeva da cappella di preghiera, è caduta da anni in rovina, perdendo prima un arto e poi l’altro per le intemperie del tempo, tra il 1982 e il 1983. In abbandono così come il rudere di un edificio a fianco che doveva ospitare la sede di un progetto sociale sulla bocca di tutti i lughesi negli Anni ’70. I volontari del Gruppo Universitari Costruttori fondato da padre Ciman, ad un certo punto, smisero di costruire, l’edificio divenne preda dell’usura degli anni disperdendo e polverizzando il lavoro di tanti giovani studenti di Padova ma anche gente del posto. Fra questi Antonio Zavagnin, il volontario di Zugliano morto tragicamente nel cantiere.

Un dramma che segnò, nell’estate del 1971, uno dei momenti critici della storia del Cristo dei Lavoratori e della struttura sanitaria di riabilitazione che non vide mai nè la luce nè l’inaugurazione, nonostante l’impegno di tante persone che nel periodo estivo prestavano gratuitamente il loro tempo libero. Un sacrificio vano, quello di Zavagnin, per il quale in tanti dopo la morte chiesero l’intitolazione della casa, comunità, residenza – difficile determinare nel dettaglio l’esatta destinazione che si voleva dare – riservata alla riabilitazione, pare, di uomini e donne vittime di incidenti stradali. Antonio, artista per vocazione, mentre con altri studenti ripuliva uno scavo di fondazione, fu sepolto dalla frana della terra soprastante. Ancora oggi lo si ricorda con un concorso pittorico a lui dedicato presso l’istituto comprensivo Vecellio del suo paese natale.

Foto storica fornita da Angelo Verziaggi, di proprietà di “Mirio”

Nella memoria offuscata dal tempo trascorso e da controverse questioni non del tutto chiare, si staglia così come la statua anche la figura di un medico che portò avanti con piglio il progetto a cavallo degli Anni ’70 e ’80. Una dottoressa padovana che trascorreva a Lugo settimane e mesi interi dedicandosi a capofitto, secondo più pareri raccolti, nell’edificazione di un’opera tormentata. Al suo fianco la fervente associazione degli universitari e, nelle fasi iniziali, una persona assai amata in paese, Mario La Rocca, uomo attivo nel mondo del volontariato, che sostenne l’idea del simbolo di fede e carità, la statua del Cristo. Coinvolse con ardore numerosi amici e operai della Cartiera Burgo, fondando un comitato vero e proprio nel 1965. Del 1967 l’inaugurazione del monumento, alla presenza dell’allora arciprete di Lugo Mons. Eugenio Dal Santo, in una data non casuale: il 1 Maggio, la festa dei lavoratori.

Un progetto di riqualifica in realtà c’era e ci sarebbe ancora, ma non risulta attuabile. Pronto sulla carta ma ambizioso, forse troppo. Il terreno privato passò di mano in mano fino ad una società immobiliare costituita ad hoc, la Futura Lugo Immobiliare srl, che acquistò l’area nel 2000. L’idea, in soldoni, consisteva nel creare una sorta di comunità destinata a persone anziane autosufficienti, costruendo dei monolocali moderni e in un contesto naturale e paesaggistico notevole. Un investimento ingente, pensato forse in tempi in cui circolavano fondi “selvaggi” a cui attingere più facilmente rispetto ad oggi, senza contare poi i vincoli urbanistici imposti dal Comune nell’interesse pubblico, dalla viabilità adeguata all’acquedotto per citarne solo i più importanti.

Nel frattempo, per molti anni e prima della relativamente recente chiusura dell’accesso con una recinzione, la struttura è divenuta terra di nessuno. In molti in paese spergiurano di luci e rumori sospetti sospesi nelle tenebre: in paese si vociferava di messe nere e satanismo. Tutto smentito, o quantomeno impossibile da confermare come spiega il sindaco Robertino Cappozzo: “Possiamo considerarle solo dicerie. In quegli anni, parliamo di fine anni ’90, non posso negare il via vai di gente in quella zona ma non si è mai avuta alcuna certezza di atti di questo tipo”. Poi sono arrivati i gruppi organizzati di ragazzi del softair, il gioco dal vivo “della guerra simulata”, che ottennero il permesso di utilizzare l’ambientazione effettivamente surreale dell’edificio, anch’esso monco e che ricorda le terre post-apocalittiche tipiche dei fumetti di genere, sul Monte Cavallo.

Poi ancora i vandali, gli imbrattatori, i ragazzacci dalla bomboletta facile e dal carattere difficile. Un colpo di grazia emblematico che ha deturpato quel poco che restava di presentabile, contribuendo ad abbandonare il luogo in un lugubre vuoto. “Dispiace, fa male al cuore – commenta il primo cittadino lughese -. L’obiettivo sociale rimane apprezzabilissimo ma oggi come oggi il progetto non ha sbocchi concreti, difficile da realizzare. In ogni caso i contatti con il legittimo proprietario dell’area rimangono aperti, confermo a chiunque che la comunità di Lugo non si mette di traverso ma anzi si augura che si trovi una soluzione al più presto”.

Dal Cristo dei Lavoratori, che avrebbe dovuto la scorsa primavera festeggiare i 50 anni, iniziava il nostro racconto. Anche la cappella che gli fa da solenne piedistallo versa in completo stato di abbandono. Triste, desolante oblio. Pezzi di sedie di legno ammassate, lo scheletro di un altare e di un candeliere in ferro arrugginito. E poi polvere e calcinacci dentro, erbacce e pezzi di intonaco scrostati fuori. Sotto lo sguardo di pietra, desolato e desolante, di un Cristo che non può nemmeno raccogliere i cocci di ciò che era e rappresentava per gli abitanti di Lugo. Lungi dall’incommensurabile abbraccio a tutta la comunità, caduto nel vuoto come caddero le sue braccia, che coloro che lo costruirono serbavano nel cuore mischiando gocce di sudore a calce e acqua.